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Tank You di Luca Rossetti

Oggi mi sono recato alla Galleria d’arte XXIII, sita in via Don Minzoni 69 a Cattolica, che ospita dal 23 febbraio fino al 23 marzo 2008, la mostra di Luca Rossetti Tank You; un palese doppio senso con il quale l’artista ringrazia la donna che ci mostra questo corpo perfetto, un corpo che si trasforma in terreno da gioco, grazie alla fervida fantasia di Luca, i carrarmatini del risiko diventano piccoli uomini di diverso colore, ognuno con la propria anima e con la propria tecnica di seduzione, che lottano per conquistare questa sensuale collina!
Luca non considera erotiche queste foto, ma per me sono la più alta forma di erotismo che si possa ottenere dal corpo di una donna; la vita è un gioco nel quale la donna è il perno attorno al quale si muove ogni cosa, senza donna la vita non avrebbe senso, non sarebbe divertente, ogni scoperta rimarrebbe fine a se stessa, un mera forma di egoismo.
Esporre il proprio corpo affinchè lo spettatore viva l’estasi dell’assoluto è un alta forma di altruismo, il nero dello sfondo è il tutto entro il quale la perfezione del corpo prende forma.

Luca Rossetti è nato a Rimini nel 1979, ma è cresciuto e vive tuttora a San Giovanni in Marignano; lavora nel campo della fotografia da diversi anni, collaborando con i migliori dj della Riviera Romagnola ha curato campagne pubblicitarie per importanti griffe di moda, riscuotendo notevoli consensi nelle riviste Glamour e GQ.
Le sue prossime mete sono Asia e Africa, terre nelle quali approfondirà le tecniche del reportage, personalmente aspetto con entusiasmo i suoi prossimi scatti digitali!

Galleria 23A via Don Minzoni, 69 47841 Cattolica (Rn)
Dal lunedì alla domenica dalle 16.00 alle 19.00.Ingresso libero.
Info: Ilenya Fraternali – tel. 0541 830345
e-mail: galleria.ventitreesima@gmail.com

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Ray

Ray è una montagna di cane. Ottanta chili di notte pelosa in movimento. Di primo acchito ricorda Nebbia, il San Bernardo di Heidi, di cui ne ricalca l’austera indolenza e le pose statuarie.
Ray è incidentalmente un cane che salva le persone dal mare, suo malgrado. E’ stato addestrato per farlo e sta faticosamente imparando a svolgere il suo compito terreno con l’aiuto di un istruttore e dei suoi due padroni, una coppia di veraci bagnini romagnoli, Marco e Chiara.
Lo si può ammirare in azione presso i bagni 7, ogni sera all’ora del crepuscolo, quando la torma di bagnanti sta facendo scorrere milioni di metri cubi di acqua sotto altrettante docce di hotel mentre i bagnini stanchi e piegati dalla fatica chiudono gli ultimi ombrelloni, ramazzano le ultime cicche dalla sabbia e intanto pensano alle triangolazioni cosmogoniche e alla fresca brezza purificatrice di settembre i cui prodromi giungono sotto forma di refoli e piccoli baci dalle spume delle onde infrante e agonizzanti sulla battigia.
Ray scruta il mare abbracciandolo con uno sguardo umido, poi fiuta i racconti che il vento selvaggiamente gli propina sotto forma di odori e effluvi raminghi. Miliardi di particelle, ognuna con un suo recapito, ognuna destinata ad una precisa collocazione, ognuna filtrata e rilasciata dalle due enormi nari che si chiudono e si aprono come due diaframmi ben oliati.
Di colpo ecco all’orizzonte due braccia disperate che invocano aiuto. Ray si alza con l’efferata lentezza di un salvatore svogliato. Lancia quel languido sguardo che bagna il mare e lo rende reale. Poi zampettando circospetto s’immerge e si dirige verso l’istruttore che continua a mulinare gli arti superiori come un elicottero impazzito.
Ray sa che non appena toccherà con zampa l’uomo la sua missione sarà quasi compiuta. Ma il suo tragitto vero, quello nascosto agli occhi di tutti, rimarrà una selva di deviazioni a perdersi tra cielo e mare, là dove ogni calma concentra la sua essenza imprendibile.

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Autobus fantasma

Ieri mattina si ferma un torpedone che pareva sputato dai mitici anni 50. Un collasso di lamiere e linee podaliche che piano piano si accosta al marciapiede e con un tremendo sferragliare, come un vecchio catarroso, eccolo spossato concludere la sua corsa e con l’ultimo briciolo d’energia aprire le porte per vomitare i passeggeri.
Seduto in terrazza seguivo incuriosito la scena domandandomi un po’ tutto e un po’ niente. Dopo alcuni eterni minuti ecco sbucare l’autista, o un surrogato di tale figura. Un uomo di una grassezza infinita, completamente madido di sudore, con lo sguardo da bimbo smarrito in un recinto di cani feroci.
L’autobus rimane lì, senza fare un fiato, tutto concentrato nel recuperare le forze per chissà quale impresa. L’autista appioppa un calcetto al pneumatico, quasi a sincerarsi della sua consistenza materica e della sua giustificazione spaziale. Guarda con aria triste l’enorme vano bagagli che divora metà facciata del veicolo e che probabilmente attende di essere aperto da mano solerte e possibilmente scevra di pinguedine. La ruggine ricopre ogni singolo atomo di carrozzeria, la targa risulta illeggibile dallo sporco accumulato, i finestrini oscurati da tende sdrucite e logore che non lasciano trasparire nulla.
L’uomo si gratta la testa e si guarda in giro, poi con una velocità insolita per un uomo della sua stazza, esegue qualche timido esercizio di stretching. Un bizzarro esercizio di stile ginnastico di cui mi accorgo essere l’unico incauto beneficiario, io vorrei, ma non posso alzarmi. Mi balenano immagini di Trabant e muri diroccati, vecchie signore che confezionano pizzi e merletti in cucinotti di mezzo metro quadrato. Mi vengono in mente i genitori di Alex, di Arancia Meccanica, e il loro soggiorno lisergico e arrampicato su fantasie bruciate.
Dall’autobus non scende nessuno e comincio a sospettare che sia vuoto, in attesa di passeggeri da caricare, ma no, ecco improvvisa una mano raggrinzita scostare per un attimo un lembo di tenda e subito baluginare due occhi da gatto, verdi e piccoli, profondi come il tempo, indecifrabili, invisibili ai più. Mi guardo intorno, non c’è nessuno, il nulla stesso è deserto e pare nascosto, rintanato in chissà quale non-luogo.
Per un lungo terribile istante ho la netta sensazione che siamo soli, io e l’autista, in un mondo di cartone, senza più anime nè parole, soli con la solitudine dei dannati che attendono in eterno una ricompensa che non verrà.

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Il loop dell’Albergatore

Mi è mancato questo blog. Una settimana che non posto ed è un malessere fisico quello che mi riporta a scrivere qui, una sorta di dilaniante crisi d’astinenza cui credo non vi sia rimedio se non il postare.
Già ma postare su cosa? Da quando ho riaperto l’hotel ed è iniziato il grande afflusso di vacanzieri i miei tempi si sono ridotti all’osso e non ho più tempo, ahimè, per curiosare in ogni remoto angolo di Cattolica. Come ogni estate mi rintano in questo microcosmo fatto di orari scanditi dai 3 grandi assiomi giornalieri: la colazione, il pranzo e la cena. Questi sono i 3 cardini intorno a cui ruota la mia realtà, una sorta di matrix in candeggina. Mi sono reso conto di una cosa. Ogni santa giornata è imperniata su come nutrire i miei ospiti. Quale cibo e in che misura.
E’ un collasso di orizzonti, di distanze percorribili. Il cibo invade ogni recesso speculativo, ogni fragile anfratto teoretico. E il cibo è nient’altro che l’eterna rincorsa del “come procacciarselo”. S’attorcigliano i metri intorno a me. I miei passi tornano ogni minuto su se stessi, calcando lo stesso percorso, a ritroso, negli stessi identici istanti di ieri, di un anno fa, in un circolo vizioso che potremmo definire “il loop dell’albergatore”.
Eppure l’hotel è un piccolo acquario affascinante, ha i suoi tesori nascosti, le sue porticine incastonate tra i coralli e a saperle aprire ci si ritrova in una culla di morbida eternità. Come passare il cordless con la telefonata della figlia di una coppia di svizzeri che, dopo l’ennesimo tentativo, annunciava trionfalmente di avere superato l’esame per la patente con annesso boato di gioia della genitrice fonoparlante. O l’eburnea insalata di radicchio che stilla una goccia di rorido umore soltanto per te, nell’attimo stesso in cui replica ogni tenue minuscola foglia corteggiando una bresaola paonazza in un surrogato di letto trentino. O l’amico Corvo, piovuto a far due chiacchere tra l’aperitivo e la cena, che non sa resistere al richiamo di un pallido lombrico nel vaso dei gerani e mitraglia via un grido di terra e radici sulla mattonella appena ramazzata. O ancora l’Ernesto che rincasa da spiaggia con la ciabatta distrutta dall’ennesima partita di bocce e di sabbia spesa nel vuoto di una folata di garbino.
Cosa poter scrivere ancora? Mastico questa tastiera mentre fuori ruggisce un afrore di mille estati cattolichine e il loop dell’albergatore stringe cervello e cuore.
L’estate, i suoi ripidi inganni.
Siamo solo operatori turistici in un algoritmo che ci sovrasta.

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Cattolica

Un gesto naturale


“Mi guardo dal di fuori come fossimo due persone
osservo la mia mano che si muove, la sua decisione
da fuori vedo chiaro, quel gesto non è vero
e sento che in quel movimento io non c’ero.”

Un corpo è una macchina perfetta, una mirabile sintesi di arti e organi, ognuno teso a preservare e far vivere l’entità ospitante.
La città è quel corpo. I cittadini: uomini, donne, bambini sono un’unica imponente massa magmatica che si modella e cambia forma a seconda del recipiente che la ospita. I cittadini sono i suoi atomi, le filiformi fibre muscolari, i recettori nervosi che sovrintendono i movimenti e fanno viaggiare i velocissimi pensieri. I cittadini fanno vivere la città, la difendono e la preservano.
Un tale esercito non si divide in corporazioni, non si prende cura del proprio orticello, ma al contrario antepone il bene comune ai problemi personali, ha a cuore la cosa pubblica e fa fronte alle avversità in maniera democratica e collegiale per mezzo di rappresentanti eletti espressamente a tali fini.
Ora torniamo in Italia, a Cattolica. nel 2007. Stracciamo il velo retorico di questa patetica metafora e mostriamoci per quel che siamo. Vediamo bene come tutto ciò sia una mera Utopia e il “bene comune”, il “senso civico”, il “benessere collettivo” lo gettiamo volentieri alle ortiche tuffandoci voluttuosamente nel microcosmo di minuscoli egoismi che costellano la vita di un uomo, di tutti noi. E tanti saluti a Platone e Tommaso Moro, e a tutti quei pensatori che hanno cercato di instillarci un senso civico che non avremo mai.
Eppure, a volte, ci piace pensare, ipocritamente, che la città sia davvero un unico corpo e che i suoi cittadini davvero si sentano parte di questo corpo. Questo a prescindere da come stiano realmente le cose.
Il sommo poeta Gaber cantava: “osservo la mia mano che si muove… e sento che in quel movimento io non c’ero”. A volte questa sensazione di non appartenenza, di estraneità, la viviamo osservando come evolve la nostra città intorno a noi. Come se il nostro corpo si muovesse senza la nostra volontà.
Un caso simile personalmente lo sto vivendo per il Porto. Amo la mia città e amo come è stata gestita e portata avanti, tra qualche errore e molte scelte vincenti, dalle varie amministrazioni che mi hanno fatto sentire ben rappresentato e alcune volto persino orgoglioso. E non penso solo a Micucci, ma anche a Pazzaglini, che si è dovuto destreggiare tra i flutti di una situazione economica disastrosa, operando scelte coraggiose.
Domenica scorsa ero al Porto, ho incontrato i rappresentanti della Lista Arcobaleno che protestavano contro la cementificazione del Porto di Cattolica. Erano in verità pochi sparuti dimostranti, in un’assolata giornata domenicale che invogliava più a gettarsi tra i flutti dell’Adriatico piuttosto che a marciare in un sit-in davanti a un cantiere. Ma questi signori sono ostinati e hanno protestato civilmente, direi pacatamente. Dai loro discorsi traspariva il loro amore per questa città. Mi hanno spiegato la situazione illustrandomi le loro ragioni e le loro richieste. Ma più di milioni di parole valeva quel che stava dinanzi a noi. All’orizzonte si stagliava infatti un manufatto in cemento armato che gettava la sua lunga ombra pomeridiana sulla banchina del porto oscurando le bitte e qualche pigro gabbiano alle prese con i piccoli segreti annidati nel proprio candido piumaggio. L’edificio pare che dovrà ospitare cinque chioschi trasformandoli in piccoli negozi (forse è il caso di parlare di loculi) con una sede definita e stabile. Il problema è che una tale opera nasconde completamente la vista del mare, come giustamente avvertiva Fabio Ronci in un suo post. Senza contare l’imponente struttura che campeggia oltre il manufatto, tra il ristorante “La Lampara” e la nuova darsena al confine con la spiaggia. Una struttura la cui destinazione rimane tuttora misteriosa.
Insomma farei un appello all’amministrazione di Cattolica, considerando la sua sensibilità in passato per le opinioni dei cittadini e per i servizi resi alla comunità, viste le oltre 2500 firme raccolte tra la cittadinanza, visto l’oggettivo arduo impatto naturalistico delle opere in corso: perchè non fare il punto della situazione in un consiglio comunale, dove poter spiegare le ragioni e i vantaggi dei lavori e poterne ridiscutere i parametri con i cittadini? Con serenità. Collegialmente. Personalmente sono convinto che tutto questo è stato fatto nell’interesse di Cattolica, ma perfavore qualcuno mi dipani l’ordito, così che anche io possa capire 🙂
Sarebbe un bellissimo gesto naturale.

“Cerco un gesto, un gesto naturale
per essere sicuro che questo corpo è mio
cerco un gesto, un gesto naturale
intero come il nostro Io.”

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Le Origini di Cattolica

Ho appena terminato di leggere un volume di Lucia De Nicolò dal titolo “Cattolica, città del viaggiatore” edito da Edimond nel 2005. Un libro che mi ero sempre ripromesso di leggere e che era rimasto sullo scaffale per parecchio tempo prima di essere vivificato dalla lettura. E devo dire che Lucia De Nicolò, insigne storica cattolichina, ha intrapreso un viaggio ammaliante attraverso la tortuosa linea del tempo, ripercorrendo a ritroso le fasi storiche della formazione dell’abitato romagnolo. Un compendio sulla sua ( e sulla mia) città che mi ha lasciato con un piacevole retrogusto di piccole scoperte, di segreti sussurrati dietro i pesanti tendaggi della Storia e che in definitiva mi ha donato una nuova prospettiva con cui poter osservare il mio piccolo formicaio.
Il viaggio attraverso il passato prende inizio dagli albori dell’insediamento, da ciò che l’archeologia ci racconta della Cattolica romana attraverso una serie di reperti che attestano come Cattolica sia sorta quale luogo di sosta per i viaggiatori che percorrevano la via Flaminia e che necessitavano di una posta per i cavalli prima di raggiungere le terre ravennati, la citta di Ariminum (Rimini) o quella di Pisaurum (Pesaro). Quindi una vocazione per l’ospitalità che già era presente nello stadio embrionale e che contraddistinguerà tutta la storia del borgo romagnolo attraverso la ruota del tempo e dei cicli umani. Siamo nati per essere albergatori, questo è certo e storicamente comprovato.
Il passo che mi ha colpito di più è l’excursus sull’origine del toponimo “Cattolica” che riporto per intero, certo della sua pregnanza:
“Se non sussistono dubbi sulla fondazione del castrum Catholicae, avvenuta nel 1271, rimangono però irrisolti alcuni quesiti, non ultimo quello della scelta del nome attribuito a questo insediamento. Perché questo centro è stato chiamato Cattolica e non per esempio Castelnuovo o Borgonuovo, o simili, come è accaduto per altri centri di nuova creazione documentabili nell’età medievale? Gli storici dal Seicento in poi che si sono interessati alla storia di questo luogo non si sono posti il problema, limitandosi a riportare riguardo alla giustificazione del toponimo un passo tratto dagli Annali Ecclesiastici del cardinal Baronio, che lega le origini del castello e l’imposizione del nome ad un episodio avvenuto in occasione del concilio di Rimini del 359 d.C. Si racconta infatti che i vescovi cattolici in fuga da quel congresso avevano trovato ricovero e protezione in un villaggio costiero, al quale per questa ragione in seguito era stato dato il nome di Cattolica. Una lapide apocrifa collocata sulla facciata dell’antica chiesa di Sant’Apollinare nel 1637, per volere dell’allora Cardinal Legato Bernardino Spada, tramanda appunto questa leggenda che, pur priva di fondamenta, storici e viaggiatori hanno poi contribuito a rafforzare nel tempo e a diffondere: ‘Nel 359, mentre era pontefice Massimo Liberio, sotto l’imperaore Costanzo, il mondo cristiano si faceva specie di essere ariano, dal momento che si sentiva ottenebrato dagli inganni degli eretici. Perciò 400 vescovi ortodossi, che erano approdati a questo lido per compiere i propri riti separatamente dagli ariani ed avevano accolto i cattolici in una comune assemblea, offrirono il pretesto,perché quello stesso villaggio venisse chiamato ‘La Cattolica’. Il Cardinale Cesare Baronie, poi, nei suoi Annali Ecclesiastici spiegò la ragione di quel nome e narrò l’intero fatto. Il Cardinale Bernardino Spada, per illuminare i pellegrini devoti e per dare testimonianza del proprio affetto nei confronti delle sue terre, fece incidere il ricordo su questa lapide nell’anno 1637′.
Recenti studi però hanno suggerito una nuova e più concreta spiegazione storica in quanto viene considerata la valenza bizantina del termine ‘cattolica’, riferito appunto a beni territoriali di carattere pubblico rintracciabili nelle terre dell’Esarcato e della Pentapoli (Carile, 1987).
La fortuna del toponimo antico si deve però sostanzialmente agli arcivescovi di Ravenna, la cui giurisdizione, sostituitasi a quella del dominio bizantino, arrivava ad abbracciare anche vasti territori della bassa Romagna. Ad essi infatti si deve la decisione di connotare, alla fine del Duecento, con il nome di Cattolica il castrum sulla strada Flaminia in cui avrebbero potuto trovare asilo i profughi dei castelli di Focara che, in urto con i pesaresi, avevano chiesto di potersi trasferire con le loro famiglie al di fuori del governo di quella città. Per dare nome al nuovo insediamento venne infatti utilizzato un vocabolo già esistente, tramandato dal passato, che qualificava in quell’epoca il corso d’acqua, il rivus Catholice appunto, e insieme tutto il piano circostante (planus Catholicae) prescelto per la fondazione del nucleo abitativo. Il vocabolo ‘cattolica’, dal greco bizantino, risulterebbe dunque sinonimo di ‘beni a carattere pubblicistico’, in altri termini, luoghi di proprietà demaniale.”
Il libro prosegue il suo cammino attraverso il tempo per approdare nel ventesimo secolo quando da semplice crocevia Cattolica attrae a sè una popolazione stanziale che si dedica alla pesca e alle attività marinare costruendo un’economia di base con la quale il paese acquista gradualmente solidità, grazie anche alla sua collocazione geografica strategica..
Il passo verso la balnearità, il turismo e la valorizzazione delle risorse naturali fu breve, e la Cattolica che tutti conosciamo si plasmò con la grazia di un piccolo fiore di magnolia: da minuscolo virgulto nel dopoguerra fino al meraviglioso fiore dei giorni nostri.

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Astronauti e investigatori

Al posto dell’attuale Coop, a poca distanza dalla rotonda con la dicitura “benvenuti a Cattolica”, sorgeva un tempo, verso gli inizi degli anni ’70, una grande costruzione in disarmo: la vecchia fornace. Era un edificio abbandonato a se stesso, un immenso gigante privato di volontà senziente, coricatosi alle pendici del Monte Vici e mai più risvegliatosi.
Noi con la cristallina incoscienza dei bambini ci si andava a giocare, a immaginare storie, a costruirsi mondi paralleli. Eravamo il gruppetto dei 3 Marchi, gli astronauti dello spazio. La fornace mutava il suo aspetto: da fatiscente rudere diveniva avanzatissima astronave, molto spesso diretta su Plutone, con compiti esplorativi e scientifici, ma non si escludevano intenti colonialistici, dipendeva dal contesto narrativo. Uno dei 3 era un abile disegnatore, e si decise di eternare le avventure cosmiche in un fumetto con tiratura stimabile in nr. 1 copia, da far girare in classe, con molta attenzione e delicatezza. Il fumetto era ben fatto, ricordo che il Marco disegnatore, sfruttando la sua posizione strategica, riusciva sempre a mettersi in buona luce nella trama e spettava sempre a lui il colpo di grazia verso la temibile entità venusiana che infestava i condotti d’aerazione della navicella, o il primo passo sulla superficie vergine di un nuovo pianeta. Il secondo Marco era più orientato sui testi e si alternava con me al timone della sceneggiatura.
Più tardi superammo la fissa per lo spazio e con l’adolescenza arrivò il trip delle detective stories, e qui superammo noi stessi perchè fondammo una vera e propria Agenzia di Investigatori Privati (AIP) con sede nella mia attuale magione, la casa dei nonni, a quei tempi. Si organizzò tutto: un reparto operativo, un ufficio amministrativo con tanto di segretaria (Caterina, precettata in classe), equipaggiamento di prima scelta con lenti, bombette puzzolenti, schedari e taccuini. Approfittammo persino del ciclostile scolastico per stampare i nostri volantini pubblicitari coi quali invademmo le caselle postali di mezza Cattolica, recapitandoli a mano e dividendoci i vari quartieri. Naturalmente non si batteva chiodo e allora decisi di dare una mano al destino inventandomi qualche caso. L’AIP passò dunque dal caso del Diamante rubato a quello del Cagnolino scomparso, per sgominare infine una Banda di falsari che aveva il proprio quartier generale in un minigolf poco distante dalla sede AIP e che astutamente non si fece trovare durante l’irruzione.
Per celebrare i brillanti successi si tenne un grande ricevimento a cui furono invitati i compagni di scuola. Ricordo che per assecondare l’atmosfera di mistero avevamo organizzato trappole e sorprese, come nel percorso di un tunnel dell’orrore. Nel bel mezzo della festa però qualcuno pensò bene di dar fondo a tutto l’arsenale di bombe puzzolenti e dall’alone di mistero si passò al fetore irrespirabile con miserevole fallimento del ricevimento e di tutti i marchingegni che avevamo approntato.
Ancora oggi, quando racconto una favola a Elmore, e all’improvviso mi distraggo o mi perdo tra le pieghe della trama in divenire, lei mi intima imperiosamente “allora babbo?” e vedo i suoi occhi assetati di favola e poi un attimo dopo luccicare di fanciullesca e purissima gioia alla ripresa del racconto.
Allora rido con lei e ripenso a quei tempi, quando fui astronauta e poi investigatore, e avevo quegli stessi occhi assetati di favole, di spazio, di mistero, occhi che solo i bambini possono avere.

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Il piccolo grande sax di Roberto

Ieri sera sul rutilante palcoscenico del Teatro della Regina di Cattolica si sono avvicendate molte delle giovani speranze cattolichine in ambito musicale. L’Accademia Musicale di Cattolica ha infatti indetto per tale serata (e per quella di stasera) l’esibizione pubblica dei propri studenti, i famigerati e temutissimi saggi.
L’atmosfera, sebbene immersa nella cornice diremmo così austera e istituzionale del teatro comunale, era fin troppo frizzante e positiva. Forse perchè il pubblico era composto in gran parte dai genitori degli allievi forse perchè la primavera gioca sempre gran brutti scherzi all’emotività della gente. Ad ogni modo ieri sera si esibiva il figlio del mio amico ed ex compagno di Liceo Giuseppe Masi, bagnino di Cattolica ed ex campione di windsurf. Giuseppe vanta infatti un titolo di vice campione mondiale, più trilioni di altri titoli nazionali ed internazionali che si affastellano sotto le spoglie di trofei, targhe e medaglie in mensole sempre più capienti.
Ma oggi non siamo qui per parlare di Giuseppe e delle sue tecniche segrete di bolina, siamo qui per parlare di suo figlio e del suo precocissimo estro musicale.
Roberto Masi ha appena 12 anni e porta al collo uno strumento che lo eguaglia quasi in altezza, un sax alto, già strumento in passato di tizi che rispondevano al nome di Charlie Parker, Cannonball Adderley, Ornette Coleman, Lee Konitz, Jackie McLean, Art Pepper. Una sfilza di nomi che per gran parte delle persone non significa nulla ma che per ogni jazzofilo significa l’Empireo della Musica, il Nirvana sonico degli strumenti a fiato. E Roberto, dall’alto dei suoi 12 anni, ama il Jazz, ma soprattutto ama suonare il jazz. Cosa che personalmente ha quasi dell’incredibile per me che sono amante di questa musica da tanti anni, e che vivo come una mosca bianca questa passione molto spesso ghettizzata dai gusti della gente e dagli orientamenti dei media. Figuratevi un ragazzino di 12 anni che deve rapportarsi con coetanei che celebrano le virtù poetiche di Eminem o il talento musicale di Jay-Z, magari facendo timidamente notare che un tizio chiamato Charlie Parker era un vero figo e, ehi, negli anni ’50 ha incidentalmente cambiato il modo di fare musica di tutti quanti noi, sapete? Sì, anche di Eminem e Jay-z. Lascio a voi immaginare le risposte a cui potrebbe andare incontro il nostro jazzofilo implume.
Per questa sua tremenda precocità Roberto non può non richiamare alla mente un altro talento nostrano del sax, quel Francesco Cafiso, straordinario musicista, anch’egli talento precoce chiamato a suonare nientemeno che da Wynton Marsalis nel 2003 all’età di soli 14 anni nel tour europeo dell’artista statunitenese. E di Francesco Cafiso Roberto è grandissimo fan, avendolo eletto ad autentico modello a cui ispirarsi. A inizio post possiamo infatti ammirare un’immagine che li ritrae insieme (wow) dopo un concerto di Cafiso al Teatro Astoria di Fiorano Medenese, tenutosi il 12 aprile 2007. Qualcuno della comitiva di Cafiso ha ironicamente chiesto al saxofonista se Roberto fosse il suo nuovo fratellino, in effetti la somiglianza c’è!
Ma torniamo al saggio di ieri sera. Roberto ha dimostrato nel suo modo di suonare una tecnica, una padronanza, un’accuratezza veramente rare per la sua età. Un insieme di doti che ne fanno realmente una giovane promessa di cui sentiremo parlare in futuro, aldilà di ogni frase di circostanza. Soprattutto ha meravigliato la sua straordinaria naturalezza nel concerto live, oltre al suo senso del ritmo, il “beat” come si direbbe altrove. L’esibizione di Roberto la potete apprezzare nel video in calce al post. Il video è il frutto dell’amorevole cura che suo padre vi ha infuso nello spazio di una notte insonne, quindi vi prego di guardarlo se non altro per premiarne lo sforzo titanico 🙂
Il piccolo saxofonista inizia la sua performance introdotto dal direttore dell’Accademia Musicale cattolichina, Giorgio Della Santina, che lo tiene a battesimo e lo introduce alla sua prima esibizione dal vivo.
Ma ora basta parlare. Signori e signore – un applauso virtuale prego – ecco a voi Roberto Masi:

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Il nuovo Acquario di Cattolica

Ieri mattina avevo in agenda un appuntamento in Hotel a Cattolica con un responsabile vendite dell’Acquario di Cattolica (già Parco Le Navi) per acquistare un carnet di biglietti. Ho infatti da poco varato una promozione che prevede biglietti omaggio per l’Acquario in bundle con una prenotazione per luglio o settembre.
A metà mattinata mi vedo arrivare un giovane cordiale ed educato, di quelli che ti ispirano fiducia primo visu. Mi racconta che l’Acquario dopo il tremendo primo periodo di gestazione, e le tribolate vicende che l’hanno portato sull’orlo del fallimento, ha recentemente cambiato rotta ed ora veleggia in mari decisamente più tranquilli, con un incremento dei visitatori ed un ripianamento della situazione debitoria. Tutto questo grazie ad un rinnovamento dell’offerta, ad un ampliamento del parco ittico e ad un abbandono della multimedialità in cui la precedente gestione si era impantanata e si era probabilmente arenata. Basta quindi con computer, schermi touchscreen e trilioni di kbyte di filmati. Questa nuova gestione ritorna al mare. Ai pesci. Alle meraviglie naturali senza fronzoli.
E questa nuova gestione ha un’età media spaventosamente bassa! E’ stata infatti costituita una società di ragazzi di Cattolica, formatisi in cooperativa, che hanno preso in gestione la struttura e la portano avanti con entusiasmo e passione. Seguivo con interesse questo ragazzo, uno dei 16 soci gerenti, parlare con trasporto delle grandi potenzialità dell’Acquario e dell’impellente bisogno di creare una salda sinergia con albergatori e bagnini, al fine di promuovere questo splendido acquario incastonato in un pezzo di storia dell’architettura italiana del Ventennio, Le Navi. Promuovere l’Acquario significa promuovere Cattolica e il mare Adriatico plasmando di fatto una risorsa autorevole e popolare, un nuovo polo di attrazione turistica che diverta, insegni e al contempo promuova la nostra città. Direi che tutti noi operatori turistici dobbiamo crederci e scommetterci sopra, perchè questa è la strada. E questi ragazzi ce la stanno mostrando, con semplicità, senza artifici imprenditoriali.
Dopo averlo salutato e averlo visto sparire dietro i vetri della porta automatica mi sono sorpreso in un attimo di feroce soddisfazione. Sono veramente felice che a Cattolica esistano giovani con questa voglia di fare, con questo sano spirito imprenditoriale e con questo amore per il turismo, l’unica vera risorsa territoriale su cui ancora oggi scommettere. Ho pensato all’approccio turistico dei nostri padri e di come noi giovani abbiamo raccolto il testimone e lo abbiamo portato avanti con quello stesso primigenio spirito di “veracità romagnola”, adattandolo e rimodulandolo tuttavia alle nuove esigenze del mercato e alla crudele competitività che il nostro settore si trova oggi ad affrontare.
Così è per l’Acquario di Cattolica, così è per molti alberghi di Cattolica gestiti con competenza e serietà da giovani cattolichini, così è per molti locali del centro, mi vengono in mente il bar Peledo’s o il ristorante Gambero Rozzo, gestiti da ragazzi con molte idee in testa e parecchia voglia di fare, e i risultati si vedono, statene certi.
Mi sono ritrovato con un sorriso di beatitudine stampato in faccia, che volete farci, sarà forse lo spirito corporativo, sarà forse il fatto che mi piace vedere chi ha successo portando avanti idee fresche e originali, sarà infine il fatto che mi sono bellamente autoincluso nella categoria dei giovani senza un briciolo di pudore anagrafico 🙂

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Cattolica Bandiera Blu 2007


Ok, non avremo il mare della Sardegna nè il sole dei Caraibi nè i palmizi di Sharm, però, signori e signore, la Riviera Romagnola è tutta un tripudio di Bandiere Blu 2007, il prestigioso riconoscimento assegnato da Foundation for Environmental Education alle spiagge che si distinguono per la qualità delle acque, la pulizia, le strutture turistiche e i servizi offerti. Partendo da nord sventolano da oggi sui pennoni di: Lidi Ravennati, Cervia, Cesenatico, Bellaria, Rimini, Riccione, Misano Adriatico e Cattolica.
La notizia è stata diramata poco fa da Adnkronos e sta correndo sulle coste italiane veloce come la brezza marina. Come ogni anno alcuni operatori turistici e amministratori sorridono soddisfatti, altri masticano amaro. Il premio è infatti oltre che un autorevole riconoscimento internazionale del lavoro svolto, anche un’indubbia impennata d’immagine (e conseguente iniezione di fiducia) per la stagione turistica alle porte.
Una bandiera blu che arriva dunque con teutonica tempestività, giusto in tempo per essere inalberata sulle cabine degli stabilimenti balneari come un trofeo ambito e soffertissimo.
Cattolica, per l’ennesimo anno consecutivo, ha guadagnato il suo alloro vedendosi riconosciuti gli sforzi tesi a migliorare ogni anno la qualità dell’offerta turistica in termini di pulizia del mare e potenziamento delle strutture turistiche che fungono da perfetto coronamento, affinchè questo meraviglioso Adriatico possa essere goduto appieno e con tutti i comfort del caso.
Che dire se non: brava Cattolica e bravi cattolichini!