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Poesia

Prossima Distanza

a Valeria
Sono entrato 
in questa Distanza
e ti ho raggiunta.
Nell'assenza
quasi innata, 
ma presente,
in qualche modo.

Come ti ho trovata
mi chiederai.

Brilla ancora di te
un sorriso trafugato
alle crudeli Moire:
un cono sfilacciato 
che flette lo spazio.

Non potevo sbagliarmi.

Questa Distanza
è confortevole,
tra tutte quelle finora percorse
- a tentoni, a carponi,
in dolorosa prostrazione -
io qui mi fermerei.
Tra queste agavi
e questa sabbia, 
e questo azzurro deserto
disporrei il bivacco,
un fuoco e qualche parola
decaduta in sussurro.
Con calma 
organizzerei la ricerca
della tua vacuità.

Sì è vero,
mi rinfacciano 
i tuoi muti contorni,
il mio trasandato
disprezzo per 
lo Spirito, per il Cielo
gonfio di candore,
è stato un macigno
nel tuo cuore fremente,
nel tuo pensiero
inondato di sangue e fede.

Ma ti assicuro
sono cambiato.
Programmerò
il mio confino
in questa regione,
riuscirò perfino
a darti un profilo,
un'assenza prestabilita.
E poi potrò pensare 
di elevarmi
fino al tuo Dio
per sfigurarlo con la mia
prosaica missione.

Le Distanze intanto
ruotano in perfetto asse 
intorno a questo piano 
che di cartesiano non ha più nulla.
Cerco di sviare i miei occhi da te
guardando quelle cieche orbite
mentre vorticano 
mentre scorticano l'aria.

Ma non ho più fiato.
La tua impalpabilità
mi annerisce i denti.
Mancano le leggi,
o forse
manca un refolo di vita,
per uscirne fuori,
per dirimere il paradosso.

Le Distanze vacillano
collidono
stridendo
coincidono,
mi franano addosso,
illudono gli occhi
in morta Parata.

Rimane solo 
- lontana - la tua remota risata,
la deriva dello spazio,
prima ancora della memoria,
lo strazio
ineluttabile
della tua storia
già fuggita,
già perduta.


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Poesia

Transumanesimo di Giuseppe Vanni: oltre l’uomo

Dante, nel primo canto del Paradiso, e non a caso precisamente in quel luogo, introduce il concetto di “Trasumanar”, ossia di spingersi oltre l’umano per ascendere all’Oggetto Divino. Un’operazione di aereo superamento dunque per trascendere la propria greve condizione umana e cogliere Dio. Si tratta di un neologismo, un termine coniato dal Sommo Poeta per aggirare i limiti del Linguaggio e tentare di descrivere l’abbattimento dei limiti umani per potersi rapportare al Superno. E il Poeta tale collasso semantico lo sottolinea con veemenza nella Commedia: “Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba” (Paradiso, I, vv. 70-73). Il Lessico non è più utile, ma occorre la Fede per uscire dal corto circuito logico.

Giuseppe Vanni, amico e poeta cattolichino, rielabora nella sua ultima raccolta poetica Transumanesimo (Fara Edizioni, 2021) il concetto dantesco in una funzione antropocentrica: il (disperato) tentativo di trascendere i limiti umani, non già per arrivare a conoscere Dio, ma per una volontà di potenza estremamente pragmatica e terrena. Trascendere la condizione umana per creare un nuovo essere capace di travalicare la propria condizione per giungere ad una nuova e potenziata essenza umana. Un concetto splendidamente descritto nel prologo (Genome Editing) in versi di fulminante presenza: “Non più nell’Amore/ origina il mistero/ dell’evoluzione./ Non figli di Dio,/ ma di una mutazione.”. Quasi a scagliarsi contro questo spasmodico anelito di superamento della condizione umana per plasmare il Prototipo Perfetto, Nietzsche avrebbe detto il Superuomo.

Un’esigenza quasi cronachistica quella di Vanni nel descrivere la parabola discendente dell’Uomo, evidenziata anche dalla scelta dei titoli delle sezioni della raccolta: Crepuscolo, Declino, Calpestare, e Mondo Nuovo. Una tassonomia della Nuova Umanità sciorinata in versi essenziali e asciutti, quasi illuminanti haiku sullo sgretolamento di un Mondo, di una Realtà che va disintegrandosi intorno, dove ogni relazione umana è progressivamente disciolta nella proiezione febbrile verso un Futuro inesistente, oscuro, senza prospettive.

In uno dei componimenti più belli dell’intera raccolta (Intreccio) troviamo il senso di questo straniamento dinanzi a una Realtà aliena e inconoscibile.

L'intreccio
che ti ha portato qui
ho smesso di dipanarlo
ormai da giorni.
Mi accontento di averti
se ci sei, non mi chiedo
se parti dove vai.
Non cerco parole 
per dirti chi siamo:
ho smesso di rispondere
a chi chiede ragione
di un attimo.

Dinanzi ad una Realtà densa di barocchismi e di biforcazioni perenni l’autore cerca di stringere a sè i propri affetti. Una realtà che ormai è impossibile da conchiudere in una definizione univoca ma che si presenta come una tentacolare entità che ghermisce e stritola l’uomo, che fallisce nel compito di ritrovarsi dentro di Essa, ma si perde nel suo continuo divenire.

Transumanesimo è una raccolta del Distacco. Un lungo amaro allontanamento da ciò che il Poeta non può più cogliere nè comprendere. Ogni modello, ogni pattern fallisce nell’ascrivere una sentenza tassonomica sul Mondo Esteriore. L’unica certezza è questo progressivo e inesorabile declino dell’Uomo attraverso un inane quanto inutile tentativo di superarsi, di elevarsi al di sopra di questo rutilante fluire. La difesa poetica sta nell’astrazione della Parola, nel contendere alla Verità ultima un grumo poetico di autentica umanità, come in un altro luogo memorabile della raccolta, il componimento Ombre, i cui versi finali recitano come un bruciante epitaffio: “E’ un baleno la verità/ che ti s’approssima,/ l’istante che t’afferra/ a ipotecarti la vita./ Ma tutto ancora/ alla pupilla/ rapido s’imbruna,/ l’incantesimo svanisce./ Per un attimo la verità./ la dannazione per l’eternità.”

L’uomo ormai è solo dinanzi allo sfacelo della sua Storia: un rapido istante di consapevolezza lo inchioda per sempre al suo destino.

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Poesia

Viottolo

Stretto e impervio
collima con l’anima
labirintico estatico
scoperto di passi,

io ti percorro
aperto allo sgomento
delle tue anse,
delle tue buche,
delle tue nascoste mani
protese nelle strettoie
precise sul viso
a lambire le carni
e il profilo di frustrazione.

Io ti rivedo viottolo
nel sentiero delle mie idee
quando nascosi la mano
che aveva ucciso la lucertola
e tu mi invocavi
con le tue crepitanti distanze
e io con la mia colpa
ti percorrevo in fiamme.

Vicolo cieco dinanzi al cielo
affossato di nero
che trascolora in un velo
di carta cenere
e mancate parole.

Camminerò senza muovermi
e tu saprai condurmi
al rinnovato baratro
del brancicare

del biascicare
l’umano dolore
che mi ha condotto a Te.

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Poesia

Euristica dell’Afflizione II



la Malattia
che tutti temiamo
ha eroso
le anime
di malati non malati già in piedi
ed ora mortiferenti
con il loro cupo
fardello di paure
timori di ingerire
un’aria brulicante
di vettori
di virus incubati
mentre uomini
stanno
soli alle finestre di strade vuote
ascoltando in strepitante silenzio
i silenzi di altri uomini
muti
azzannati da
anecoici pensieri
di morte
di vita frantumata
in uno spongiforme
cervello
corroso da dedali
di vie inesplose.

Il Virus
lui sì che parla
attraverso
il vento, i fumi,
i falsi profili dei cadaveri.

Uniti in strada
da un leggero
sciabordio
di dissoluzione
stanno le potenziali vittime,
gli ospiti:
coloro che chiamavano
umanità.

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Poesia

Euristica dell’Afflizione I

anche se
nel busto piegato della sera
trovassi
il senso della memoria,
o la musica perduta
nei sassi delle parole,
avrei combattuto invano.

le case serrate,
le anime rintanate,
i volti secretati,
il tuo sibillino mimetismo
tutto tesse e sfilaccia
un sogno senza sogni.

rimane soltanto
il formicaio dei ricordi
ove s’annida
senza passione
in fremente ristagno
astuto il ragno
dell’afflizione.

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Giostre Poesia

Tu sai

woodman

Tu sai.
Le mie parole
vanno come i miei anni,
dileguando.
Fors’anche
sai l’apice,
in cui sempre t’affanni.
“Bada”,
si dice,
puoi essere tu,
in mia assenza,
epicentro in cenere
d’ogni dissolvenza.

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Senza categoria

Un drappo nero

Ho allungato una mano ma tu non c’eri,
ho seguito il tuo respiro,
come un cervo spossato
attraverso un bosco infinito,
tra un latrare di rami
e il labirinto verde dell’erba.

Un drappo nero ormai ci divide,
come a teatro un buio sipario,
di quelli impossibili ad aprirsi,
separa le storie raccontate
da quelle silenziose in platea.

Sì, è vero, tu sei qui, ti tocco, ti bacio
colgo l’ironia balenare nel tuo sguardo.
Ma sei in un’altra storia,
in un altro imprendibile Avello,
con i tuoi Demoni privati
e le tue scarnificate memorie.

Racconti di persone che passano
nei tuoi luoghi segreti,
invadendo anche l’intimo rifugio
che hai faticosamente eretto.

Racconti di presenze, di angeli perduti,
di voci che narrano in silenzio
memorie cancellate dal torpore,
da quel tremolio leggero del Tempo.

Racconti di impercettibili silenzi,
che ossessionano il rumore dei denti,
il corpo, la pelle, le unghie, la saliva,
l’umana fatica di vivere che stritola…

Babbo, mio fragile tremolante guerriero,
tu mi hai insegnato il suono del vento,
e la guizzante presenza di Dio in un prato verde…

Tu mi hai donato l’ironia del Non Detto,
parole che giocano e frullano frasi e sorrisi,
vorticando nella semantica dei convenevoli…

Tu mi hai guardato con l’amore di un Padre,
e io ti ritrovo in quel perduto senso,
in un sogno masticato dal mattino,
in un tiepido sonno velato d’innocenza…

La tua essenza è intatta,
nessun tremore la fa vacillare.

Il Drappo nero che ci separa
non può spezzare la luce dei sogni…

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Canzoni

Xanadu

In una nuvola di mercurio e follia
in una sfera di oscura magia
gravita un antico e vetusto maniero
roccaforte in bilico tra falso e vero

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
la meta sei soltanto tu

Oltre le sette colline fatate
oltre le torri rabberciate
aldilà del pensiero degli dei
cantato da tutti i Corifei

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
la meta sei soltanto tu

E quando credi di averlo raggiunto
e quando allunghi il tuo dito smunto
antimateria è quel che senti
soltanto il nulla battuto dai venti

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
la meta sei soltanto tu

Soltanto il nulla cantato dai venti
soltanto aria in mezzo ai tuoi denti
Soltanto sogni sprecati al mattino
sciolti nel vuoto di un triste cammino…

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
quel luogo sei soltanto tu
quel luogo sei soltanto tu
quel luogo sei soltanto tu

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Poesia

Sogno nel Sogno

In questa notte d’aprile
gonfia di piogge e ricordi
non so dormire,
la morte mi è accanto
come sogno ostile
come rapida ladra d’ingegni
che seppe sfilarci Pavese
nel culmine acido
di occhi tanatoici
volati via.

Ed io con i miei teneri dolori
penso alla vita
che si duplica nel sonno,
avverto oltre l’oscuro
i febbrili affanni
d’un sogno bambino
che crepita nel ventre
amniotica tempesta
che si dissolve calma
nel sovrastante sogno
dell’incosciente madre.

Sogno nel sogno
neve su neve
ombra dentro al buio.

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Epigrammi

Zanzara

L’ultima volta che ho incrociato Zanzara era nell’estate dell’86 mi pare… Era tutto preso da chissà quale progetto e se ne andava fantasticando su un mondo libero da vincoli sociali, di casta, di media… 
Il buon vecchio Zanzara è sempre stato un poco tocco e non ci feci caso più di tanto limitandomi a sorridere, annuire, dare pacche sulla spalla, invitare a bere un caffè, insomma la solita trafila di attenzione distratta che si concede ad un amico eccentrico e anche un po’ rompiballe…
Poi più niente…
Per più di vent’anni di Zanzara si son perse le tracce e nessuno si ricordava neppure che faccia avesse… Si diceva che si era trasferito altrove ed era partito senza avvertire nessuno, altri dicevano che aveva trovato la donna in qualche setta religiosa tipo gli Esperantisti e si era convertito anima e core alla nuova dottrina, altri ancora dicevano che era stato rapito dai marziani e aveva aperto un bar su Saturno…
Insomma Zanzara era sparito. Era questo l’unico incontrovertibile dato di fatto.
Poi improvvisamente un paio di giorni fa l’ho rivisto. Era sdraiato sulla panchina di un piccolo parco pubblico, con il giornale a mo’ di coperta, con le mani intrecciate dietro la nuca, aveva un milione di miliardi di anni in più.
-Zanzara, ma sei tu?
-mmm?
-Ah mi scusi l’avevo scambiata per un altro.
Sono tornato sul piccolo sentiero in mezzo a quello sparuto fazzoletto di verde, mi sono fermato, ho alzato la mano invisibile e l’ho salutato, ma lui si era già voltato dall’altra parte e del mio gesto è rimasto soltanto un vuoto simulacro di saluto.