Nonno la tua malattia se ne è andata perché tu
sei volato nell’azzurro cielo,
meno male che non hai sofferto.
Oggi ho visto la tua tomba,
e so che mi guardi da lassù.
Ti voglio molto bene nonno
Nonno la tua malattia se ne è andata perché tu
sei volato nell’azzurro cielo,
meno male che non hai sofferto.
Oggi ho visto la tua tomba,
e so che mi guardi da lassù.
Ti voglio molto bene nonno
Cari nonni
siete molto gentili
mi dispiace che il nonno Franco
abbia questa brutta malattia
ma lo amo comunque, anzi di più!
La nonna Nucci
è molto gentile,
come una carezza
quando sono triste.
Nessuno impedirà che vi voglia bene
per sempre.
caro babbo anche se non siamo sempre
vicini ti voglio tantissimo bene,
anche se alcune volte alzi la voce
ti amo comunque.
Stiamo correndo un
percorso infinito.
mia cara mamma io ti tengo come il diamante più prezioso
e ti voglio un bene indecifrabile
nel mio cuore sei tu la persona che vale di più
mi hai insegnato tutto quello che so
senza di te io non sarei vivo neanche per 1 secondo.
Sarai sempre nel mio cuore
e mi aiuti sempre in casi estremi
O mia cara maestra tu rimarrai sempre nel mio cuore.
Tu mi aiuti sempre a superare le difficoltà
sei sempre lì vicino
ad aiutarmi a scuola e a casa.
Sei sempre felice non vedo l’ora che tu ci sia.
Ogni giorno sarai con me.
Sei sempre tanto gentile
con me e le maestre
attorno a te.
Dove i bruciati passi incrociano le modalità spente dell'acqua un arso clangore sfiora il suo stridulo cocente deserto e gli occhi cercano disperati un'acqua evaporata nel retaggio di un mare avaro e ctonio. Eppure a ben guardare qualche sapida stilla è rimasta a giocare tra le piccole dune di carta vetrata e se ci cascasse il piede argentine campanule trillerebbero all'unisono e salirebbero azzurre stille nel pallido cielo irrigato a festa celebrando una gioia antica un mare rievocato in forma di particole e che pare gridare: Aspettami! Ritornerò!
a Valeria
Sono entrato in questa Distanza e ti ho raggiunta. Nell'assenza quasi innata, ma presente, in qualche modo. Come ti ho trovata mi chiederai. Brilla ancora di te un sorriso trafugato alle crudeli Moire: un cono sfilacciato che flette lo spazio. Non potevo sbagliarmi. Questa Distanza è confortevole, tra tutte quelle finora percorse - a tentoni, a carponi, in dolorosa prostrazione - io qui mi fermerei. Tra queste agavi e questa sabbia, e questo azzurro deserto disporrei il bivacco, un fuoco e qualche parola decaduta in sussurro. Con calma organizzerei la ricerca della tua vacuità. Sì è vero, mi rinfacciano i tuoi muti contorni, il mio trasandato disprezzo per lo Spirito, per il Cielo gonfio di candore, è stato un macigno nel tuo cuore fremente, nel tuo pensiero inondato di sangue e fede. Ma ti assicuro sono cambiato. Programmerò il mio confino in questa regione, riuscirò perfino a darti un profilo, un'assenza prestabilita. E poi potrò pensare di elevarmi fino al tuo Dio per sfigurarlo con la mia prosaica missione. Le Distanze intanto ruotano in perfetto asse intorno a questo piano che di cartesiano non ha più nulla. Cerco di sviare i miei occhi da te guardando quelle cieche orbite mentre vorticano mentre scorticano l'aria. Ma non ho più fiato. La tua impalpabilità mi annerisce i denti. Mancano le leggi, o forse manca un refolo di vita, per uscirne fuori, per dirimere il paradosso. Le Distanze vacillano collidono stridendo coincidono, mi franano addosso, illudono gli occhi in morta Parata. Rimane solo - lontana - la tua remota risata, la deriva dello spazio, prima ancora della memoria, lo strazio ineluttabile della tua storia già fuggita, già perduta.
Dante, nel primo canto del Paradiso, e non a caso precisamente in quel luogo, introduce il concetto di “Trasumanar”, ossia di spingersi oltre l’umano per ascendere all’Oggetto Divino. Un’operazione di aereo superamento dunque per trascendere la propria greve condizione umana e cogliere Dio. Si tratta di un neologismo, un termine coniato dal Sommo Poeta per aggirare i limiti del Linguaggio e tentare di descrivere l’abbattimento dei limiti umani per potersi rapportare al Superno. E il Poeta tale collasso semantico lo sottolinea con veemenza nella Commedia: “Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba” (Paradiso, I, vv. 70-73). Il Lessico non è più utile, ma occorre la Fede per uscire dal corto circuito logico.
Giuseppe Vanni, amico e poeta cattolichino, rielabora nella sua ultima raccolta poetica Transumanesimo (Fara Edizioni, 2021) il concetto dantesco in una funzione antropocentrica: il (disperato) tentativo di trascendere i limiti umani, non già per arrivare a conoscere Dio, ma per una volontà di potenza estremamente pragmatica e terrena. Trascendere la condizione umana per creare un nuovo essere capace di travalicare la propria condizione per giungere ad una nuova e potenziata essenza umana. Un concetto splendidamente descritto nel prologo (Genome Editing) in versi di fulminante presenza: “Non più nell’Amore/ origina il mistero/ dell’evoluzione./ Non figli di Dio,/ ma di una mutazione.”. Quasi a scagliarsi contro questo spasmodico anelito di superamento della condizione umana per plasmare il Prototipo Perfetto, Nietzsche avrebbe detto il Superuomo.
Un’esigenza quasi cronachistica quella di Vanni nel descrivere la parabola discendente dell’Uomo, evidenziata anche dalla scelta dei titoli delle sezioni della raccolta: Crepuscolo, Declino, Calpestare, e Mondo Nuovo. Una tassonomia della Nuova Umanità sciorinata in versi essenziali e asciutti, quasi illuminanti haiku sullo sgretolamento di un Mondo, di una Realtà che va disintegrandosi intorno, dove ogni relazione umana è progressivamente disciolta nella proiezione febbrile verso un Futuro inesistente, oscuro, senza prospettive.
In uno dei componimenti più belli dell’intera raccolta (Intreccio) troviamo il senso di questo straniamento dinanzi a una Realtà aliena e inconoscibile.
L'intreccio che ti ha portato qui ho smesso di dipanarlo ormai da giorni. Mi accontento di averti se ci sei, non mi chiedo se parti dove vai. Non cerco parole per dirti chi siamo: ho smesso di rispondere a chi chiede ragione di un attimo.
Dinanzi ad una Realtà densa di barocchismi e di biforcazioni perenni l’autore cerca di stringere a sè i propri affetti. Una realtà che ormai è impossibile da conchiudere in una definizione univoca ma che si presenta come una tentacolare entità che ghermisce e stritola l’uomo, che fallisce nel compito di ritrovarsi dentro di Essa, ma si perde nel suo continuo divenire.
Transumanesimo è una raccolta del Distacco. Un lungo amaro allontanamento da ciò che il Poeta non può più cogliere nè comprendere. Ogni modello, ogni pattern fallisce nell’ascrivere una sentenza tassonomica sul Mondo Esteriore. L’unica certezza è questo progressivo e inesorabile declino dell’Uomo attraverso un inane quanto inutile tentativo di superarsi, di elevarsi al di sopra di questo rutilante fluire. La difesa poetica sta nell’astrazione della Parola, nel contendere alla Verità ultima un grumo poetico di autentica umanità, come in un altro luogo memorabile della raccolta, il componimento Ombre, i cui versi finali recitano come un bruciante epitaffio: “E’ un baleno la verità/ che ti s’approssima,/ l’istante che t’afferra/ a ipotecarti la vita./ Ma tutto ancora/ alla pupilla/ rapido s’imbruna,/ l’incantesimo svanisce./ Per un attimo la verità./ la dannazione per l’eternità.”
L’uomo ormai è solo dinanzi allo sfacelo della sua Storia: un rapido istante di consapevolezza lo inchioda per sempre al suo destino.
Stretto e impervio
collima con l’anima
labirintico estatico
scoperto di passi,
io ti percorro
aperto allo sgomento
delle tue anse,
delle tue buche,
delle tue nascoste mani
protese nelle strettoie
precise sul viso
a lambire le carni
e il profilo di frustrazione.
Io ti rivedo viottolo
nel sentiero delle mie idee
quando nascosi la mano
che aveva ucciso la lucertola
e tu mi invocavi
con le tue crepitanti distanze
e io con la mia colpa
ti percorrevo in fiamme.
Vicolo cieco dinanzi al cielo
affossato di nero
che trascolora in un velo
di carta cenere
e mancate parole.
Camminerò senza muovermi
e tu saprai condurmi
al rinnovato baratro
del brancicare
del biascicare
l’umano dolore
che mi ha condotto a Te.
la Malattia
che tutti temiamo
ha eroso
le anime
di malati non malati già in piedi
ed ora mortiferenti
con il loro cupo
fardello di paure
timori di ingerire
un’aria brulicante
di vettori
di virus incubati
mentre uomini
stanno
soli alle finestre di strade vuote
ascoltando in strepitante silenzio
i silenzi di altri uomini
muti
azzannati da
anecoici pensieri
di morte
di vita frantumata
in uno spongiforme
cervello
corroso da dedali
di vie inesplose.
Il Virus
lui sì che parla
attraverso
il vento, i fumi,
i falsi profili dei cadaveri.
Uniti in strada
da un leggero
sciabordio
di dissoluzione
stanno le potenziali vittime,
gli ospiti:
coloro che chiamavano
umanità.