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Hoover e l’Atomica

j_edgar_hooverDon Delillo ha una sorta di forza virale, una prosa dirompente e metallica che inalbera un meccanismo perfetto, una storia incastonata nella Storia dove ogni movimento è un colpo di cesello, un’azione in slow motion vivisezionata istante per istante. Underworld è un romanzo pantagruelico, per certi versi irritante. Ma la luminosità di alcuni passaggi vale da sola il prezzo del biglietto. Ad esempio questo brano su Edgar Hoover e l’Atomica (nel ’51 mentre assisteva ad una partita di baseball con Sinatra gli viene rivelato che i russi hanno appena fatto esplodere la prima atomica entro i loro confini per testarla):
“Per ogni esplosione atmosferica, per ogni immagine fugace che riusciamo a cogliere della forza bruta della natura, quell’inquietante occhio senza palpebre che esplode sul deserto – per ciascuna di queste cose, Edgar immagina che almeno cento segreti vadano sotto terra, a moltiplicarsi e a tramare. E qual è il rapporto tra Noi e Loro, quanti collegamenti troviamo nel labirinto neurale? Non basta odiare il proprio nemico. Bisogna capire che ciascuno dei due contribuisce alla completezza dell’altro.”
Raffinatezza e genialità senza pari, in poche pennellate abbiamo la poliedricità di Hoover: la sua scaltrezza, la sua innata paura per l’Avversario, la sua curiosità, la sua definitiva propensione a fare sua la diversità per poterla abbattere senza rimpianti. Poi il concetto di yin e yang sulla complementarità degli opposti, quasi un ossimoro nel ragionamento dell’uomo che più di ogni altro contribuì all’edificazione del concetto di “guerra fredda” insinuandosi nell’immaginario di ogni americano e inculcandovi il terrore dei Rossi, la caccia alle streghe del Comunismo che porterà alla più grande operazione di Intelligence del dopoguerra.
Un romanzo che vale la pena leggere: Don Delillo – Underworld (Einaudi).

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Incontri con l’autore al Carducci 76

Il milieu culturale cattolichino concede segni di risveglio, in concomitanza con l’arrivo della Primavera. Segnalo infatti un interessante ciclo di conferenze che si terranno nella prestigiosa cornice dell’Hotel Carducci 76 a Cattolica.

“Il primo obiettivo,” come amabilmente mi segnala Lara Badioli, curatrice del progetto, “è aprire le porte di un luogo così bello, unico, gradevole come il Carducci76 al pubblico locale. Desideriamo, continua Lara, che questo luogo fuori dal tempo sia “vissuto” e apprezzato anche da chi abita a pochi metri. Le occasioni per farlo dovranno essere pertinenti con la sua poesia, tuttavia la piacevole informalità e il calore che vi si riscontra metteranno a proprio agio tutti coloro che parteciperanno all’evento.

Sicuramente l’iniziativa che avrà più risalto tra le altre (cena legata al tango, serate musicali con duo jazz…) durante questa conferenza stampa è la presentazione di due volumi Mondadori il 6 e il 20 Aprile.

Abbiamo selezionato dei testi che potessero rispecchiare la nostra natura e quindi che toccassero argomenti come la musica, la poesia, il design, la moda…(allego la locandina).Momenti musicali intratterranno l’ospite dopo l’incontro con l’autore.
Quale modo migliore per passare un paio d’ore della domenica pomeriggio, con musica, cultura, storie interessanti e passionali…(l’amore tra Miles Davis e Juliette Greco, ho già letto il libro, è veramente coinvolgente).”

Queste le due conferenze in programma al Carducci 76:

DATA 6 APRILE 2008 “Miles E Juliette” di Walter Mauro, relatore Drudi Mauro, scrittore e musicista (accompagnamento musicale Sig. Belemmi tromba e Sig. Cloude Maarek pianoforte)
DATA 20 APRILE 2008 – “Simonetta-La prima donna della moda italiana” – Caratozzolo Vittoria Caterina, Clark Judith, Frisa Maria Luisa – Relatore Mario Lupano, Presidente del corso di laurea specialistica in sistemi e comunicazioni della moda del Dams, sede di Rimini.

Il mio umilissimo consiglio è quello di non mancare questa rara occasione di coniugare bellezza (il Carducci 76 è uno degli hotel più affascinanti costruiti negli ultimi anni in Riviera) a cultura e informazione.

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XXXIV Premio Gran Giallo Città di Cattolica

Cattolica si tingerà di giallo alla fine del mese di giugno 2008; è giunta alla 34a edizione il Premio Gran Giallo Città di Cattolica, il concorso letterario promosso dalla Dott.ssa Simonetta Salvetti, responsabile dell’Ufficio Cinema-Teatro Istituzione Culturale della Regina del Comune di Cattolica, in collaborazione con la Casa editrice Mondadori e con il Patrocinio della Regione Emilia Romagna e della Provincia di Rimini.

Il sogno di coloro a cui piace scrivere è diventare un giorno scrittori, avere un contratto con una nota casa editoriale, che permetta loro di avere il proprio nome immortalato nella copertina di un libro.

Il tempo per scrivere, quando si diventa blogger professionisti, scarseggia al ritmo incessante delle lancette di un orologio svizzero; meramente pleonatisco il voltarsi indietro, scorgere castelli di sabbia o sfavillanti reggie sono spesso l’indice di contatti più o meno fortunati. L’autore di per se è nulla senza pubblico che lo innalzi a leggenda,
usare il verbo con la potenza di un Profeta è lo strumento dei letterati che si distinguono nella coltre nube di caratteri in nero entro uno sfondo bianco.

Chi volesse cimentarsi nella stesura del miglior racconto o testo teatrale giallo e del mistero, inedito e di ambientazione rigorosamente italiana deve attenersi al sottostante bando di concorso:

1. Il concorso è aperto a tutti i cittadini europei.

2. Le opere dovranno essere inedite (non è esclusa la partecipazione o segnalazione ad altri concorsi, ma le opere non devono essere state mai pubblicate, neanche on-line), in lingua italiana e avere una lunghezza massima di 20 cartelle dattiloscritte (cartella tipo: 35 righe, 55 battute per un massimo di 2000 battute).

3.Si può partecipare con un solo elaborato.

4. I racconti dovranno pervenire in 9 copie e corredati di floppy disk o cd (i concorrenti dovranno indicare chiaramente le proprie generalità con indirizzo e recapito telefonico) a:

XXXIV Premio “Gran Giallo Città di Cattolica”
Sezione letteraria
Ufficio Cinema – Teatro
P.zza della Repubblica, 1
47841 Cattolica (RN)

entro e non oltre (indipendentemente dal timbro postale) il 16 maggio 2008.

5. Gli elaborati non saranno restituiti e l’organizzazione si riserva il diritto di utilizzarli nelle varie manifestazioni, rassegne e/o altri concorsi collegati al Premio.

6. La giuria composta da: Mario Guaraldi, Luciana Leoni, Igor Longo, Carlo Lucarelli, Valerio Massimo Manfredi, Marinella Manicardi, Andrea G. Pinketts, selezionerà il racconto vincitore che verrà pubblicato nella collana Il Giallo Mondadori.

7. Il testo vincitore godrà inoltre di una drammatizzazione teatrale a cura del Teatro della Regina di Cattolica (se in forma originaria di racconto) o di una vera e propria messa in scena (se in forma originaria di copione teatrale) e sarà presentato al pubblico in occasione della cerimonia ufficiale di premiazione che si prevede alla fine di giugno 2008.

La Dott.ssa Simonetta Salvetti può essere contatta al numero di telefono 0541.968214-833528, fax 0541-830565 e-mail: teatro@cattolica.net

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Cattolichini Libri

Ignazio

Ignazio non si chiama Ignazio.
Deve il suo nome a un patronimico abnorme che si è divorato l’originale.
Con acrobazia speleologica recuperiamolo, per onor di cronaca e di firma: Luigi Alberto (con inchino).
Ignazio nabbe (direbbe lui) nel 197x a Cattolica, stabilendosi da qualche parte in quel lungo budello che è Via Emilia Romagna, e prendendo precocemente possesso di un vasto sostrato di chiasmi e artifici dialettali cattolichini con cui, più tardi, ordirà pazientemente il suo disegno di sottomissione del mondo linguistico a lui circostante, spingendosi cioè fino alle inferriate dell’avita magione e lambendo il marciapiede antistante. Nasce così, con una punta di sfrenata ambizione, il gergo ignaziato o “ignese” secondo alcuni autorevoli agiografi.
Ignazio è un vero intellettuale ma è pudico e non lo ammetterà mai, nemmeno sotto cruenta tortura. Emigrato in Francia intorno alla metà degli anni ’90 e ivi affermatosi come insegnante di greco e latino, e perfino letteratura francese (ai francesi), peregrinando da Lille alla Metropoli Parigina, fino ad Avignone per fare trionfalmente ritorno sulle rive della Senna con un serto di alloro Sorbonese, un codazzo di discepoli squinternati e un ingaggio da titolare nel CNRS per la stagione 2007 – 2008.
Ignazio è fatto così: dopo due minuti di permanenza in landa transalpina conosceva il francese meglio di Vincent Cassel rimanendogli un pelino inferiore soltanto nella scelta della compagna di vita: a Cassel la Bellucci, a Ignazio un vecchio santino sgualcito di Guillame Budé contro cui oscenamente strusciarsi nelle tremende notti di tentazione.
Ignazio è incidentalmente comunista (scusate il termine). Un comunismo irsuto, trasudante trippa al cartoccio e poesie Einaudi in stile libero. Quel genere di comunismo che bascula tra i 3 stomaci di un ruminante e partorisce un pamphlet antipapista dalla trattazione ammiccante e sornionamente gaglioffa, con una lacrima di eresia e una spruzzata di Pepponismo allo stato brado.
Ignazio stamattina sarà al Parco Navi per tenere una conferenza sulla sostanza di Dio e di Suo figlio. Direi che per un comunista anticlericale mangiapreti come lui non c’è male. Complimenti anche agli organizzatori dell’evento per la scelta oculata.
L’evento vedrà la partecipazione anche di Lucia De Nicolò, già apparsa su questo blog per il suo libro su Cattolica. La conferenza inizia alle 9.00, cioè tra 8 ore visto che adesso è l’una, e ancora son qui a straparlare.
C’è solo da sperare che ai prelati e agli alti papaveri ecclesiastici presenti non cada l’occhio sulla bibliografia dell’oratore. Ma credo che brioche e cappuccino faranno la loro parte nell’allontanare questo pericolo. Ora che il pamphlet sarà stampato da un editore di Napoli prevedo un tour de force di Ignazio presso le corti dei talk-show di mezza Italia, fino a Telerimini su su fino a Videolina e TeleNorba, ogni volta con condanna in tralice del conduttore e mormorii scandalizzati tra le signore in sala.
Ignazio non so come chiudere questo post quindi basta qui. Domani mattina non sarò alla tua cavalcata teologica, mi farai sapere.

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Le Origini di Cattolica

Ho appena terminato di leggere un volume di Lucia De Nicolò dal titolo “Cattolica, città del viaggiatore” edito da Edimond nel 2005. Un libro che mi ero sempre ripromesso di leggere e che era rimasto sullo scaffale per parecchio tempo prima di essere vivificato dalla lettura. E devo dire che Lucia De Nicolò, insigne storica cattolichina, ha intrapreso un viaggio ammaliante attraverso la tortuosa linea del tempo, ripercorrendo a ritroso le fasi storiche della formazione dell’abitato romagnolo. Un compendio sulla sua ( e sulla mia) città che mi ha lasciato con un piacevole retrogusto di piccole scoperte, di segreti sussurrati dietro i pesanti tendaggi della Storia e che in definitiva mi ha donato una nuova prospettiva con cui poter osservare il mio piccolo formicaio.
Il viaggio attraverso il passato prende inizio dagli albori dell’insediamento, da ciò che l’archeologia ci racconta della Cattolica romana attraverso una serie di reperti che attestano come Cattolica sia sorta quale luogo di sosta per i viaggiatori che percorrevano la via Flaminia e che necessitavano di una posta per i cavalli prima di raggiungere le terre ravennati, la citta di Ariminum (Rimini) o quella di Pisaurum (Pesaro). Quindi una vocazione per l’ospitalità che già era presente nello stadio embrionale e che contraddistinguerà tutta la storia del borgo romagnolo attraverso la ruota del tempo e dei cicli umani. Siamo nati per essere albergatori, questo è certo e storicamente comprovato.
Il passo che mi ha colpito di più è l’excursus sull’origine del toponimo “Cattolica” che riporto per intero, certo della sua pregnanza:
“Se non sussistono dubbi sulla fondazione del castrum Catholicae, avvenuta nel 1271, rimangono però irrisolti alcuni quesiti, non ultimo quello della scelta del nome attribuito a questo insediamento. Perché questo centro è stato chiamato Cattolica e non per esempio Castelnuovo o Borgonuovo, o simili, come è accaduto per altri centri di nuova creazione documentabili nell’età medievale? Gli storici dal Seicento in poi che si sono interessati alla storia di questo luogo non si sono posti il problema, limitandosi a riportare riguardo alla giustificazione del toponimo un passo tratto dagli Annali Ecclesiastici del cardinal Baronio, che lega le origini del castello e l’imposizione del nome ad un episodio avvenuto in occasione del concilio di Rimini del 359 d.C. Si racconta infatti che i vescovi cattolici in fuga da quel congresso avevano trovato ricovero e protezione in un villaggio costiero, al quale per questa ragione in seguito era stato dato il nome di Cattolica. Una lapide apocrifa collocata sulla facciata dell’antica chiesa di Sant’Apollinare nel 1637, per volere dell’allora Cardinal Legato Bernardino Spada, tramanda appunto questa leggenda che, pur priva di fondamenta, storici e viaggiatori hanno poi contribuito a rafforzare nel tempo e a diffondere: ‘Nel 359, mentre era pontefice Massimo Liberio, sotto l’imperaore Costanzo, il mondo cristiano si faceva specie di essere ariano, dal momento che si sentiva ottenebrato dagli inganni degli eretici. Perciò 400 vescovi ortodossi, che erano approdati a questo lido per compiere i propri riti separatamente dagli ariani ed avevano accolto i cattolici in una comune assemblea, offrirono il pretesto,perché quello stesso villaggio venisse chiamato ‘La Cattolica’. Il Cardinale Cesare Baronie, poi, nei suoi Annali Ecclesiastici spiegò la ragione di quel nome e narrò l’intero fatto. Il Cardinale Bernardino Spada, per illuminare i pellegrini devoti e per dare testimonianza del proprio affetto nei confronti delle sue terre, fece incidere il ricordo su questa lapide nell’anno 1637′.
Recenti studi però hanno suggerito una nuova e più concreta spiegazione storica in quanto viene considerata la valenza bizantina del termine ‘cattolica’, riferito appunto a beni territoriali di carattere pubblico rintracciabili nelle terre dell’Esarcato e della Pentapoli (Carile, 1987).
La fortuna del toponimo antico si deve però sostanzialmente agli arcivescovi di Ravenna, la cui giurisdizione, sostituitasi a quella del dominio bizantino, arrivava ad abbracciare anche vasti territori della bassa Romagna. Ad essi infatti si deve la decisione di connotare, alla fine del Duecento, con il nome di Cattolica il castrum sulla strada Flaminia in cui avrebbero potuto trovare asilo i profughi dei castelli di Focara che, in urto con i pesaresi, avevano chiesto di potersi trasferire con le loro famiglie al di fuori del governo di quella città. Per dare nome al nuovo insediamento venne infatti utilizzato un vocabolo già esistente, tramandato dal passato, che qualificava in quell’epoca il corso d’acqua, il rivus Catholice appunto, e insieme tutto il piano circostante (planus Catholicae) prescelto per la fondazione del nucleo abitativo. Il vocabolo ‘cattolica’, dal greco bizantino, risulterebbe dunque sinonimo di ‘beni a carattere pubblicistico’, in altri termini, luoghi di proprietà demaniale.”
Il libro prosegue il suo cammino attraverso il tempo per approdare nel ventesimo secolo quando da semplice crocevia Cattolica attrae a sè una popolazione stanziale che si dedica alla pesca e alle attività marinare costruendo un’economia di base con la quale il paese acquista gradualmente solidità, grazie anche alla sua collocazione geografica strategica..
Il passo verso la balnearità, il turismo e la valorizzazione delle risorse naturali fu breve, e la Cattolica che tutti conosciamo si plasmò con la grazia di un piccolo fiore di magnolia: da minuscolo virgulto nel dopoguerra fino al meraviglioso fiore dei giorni nostri.

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Cattolica Cattolichini Libri

Memorie cattolichine

Da la Vantena in giù” è l’ultima fatica letteraria (us fa par dì, dice lui) di Peter Tonti, cattolichino verace, che non è sbagliato definire coscienza storica della città, magari insieme ad altri due insigni annalisti della Regina quali Lucia De Nicolò e Guido Paolucci.
Il libro è un compendio di poesie dialettali dell’autore, brani di vita vissuta e anedottica sparsa, fotografie d’epoca e memorie di una topografia e di una toponomastica inghiottite dal vortice degli anni e sopravvisute quasi esclusivamente nell’oralità degli anziani e nei loro ineffabili intercalari dialettali. Inutile dire che pur nel suo apparente caos strutturale il libro risulta estremamente godibile e perfino affascinante nei suoi rimandi storici, collocandosi come importante riferimento per un recupero di tradizioni e uomini che hanno fatto di Cattolica quello che attualmente è: uno dei più importanti centri turistici di tutta la costa adriatica.
In verità alcuni aneddoti sono talmente esilaranti che non posso esimermi dal pubblicarli, eccone un paio:
“Voi tutti avrete sentito parlare di Gianèn, dunque Gianèn ha conosciuto la sua futura moglie sotto una pioggia di bombe e granate, mentre il fronte passava sul fiume Conca dove i due erano sfollati. Tanto tempo dopo, dopo l’ennesima lite con la moglie, Gianèn andò in Comune a chiedere i documenti per fare la richiesta dei danni di guerra. Quando l’impiegato gli chiese che tipo di danni avesse subito, Gianèn candidamente rispose: – Che dann ca ho avù? Più che dann l’è stè na catastrofe! Ho cnusù la mi moj drent el rifugio!” [n.d.t. Che danni ho avuto? Più che un danno è stata una catastrofe! Ho conosciuto mia moglie dentro il rifugio!]
“Un giorno del 1943, i tedeschi misero due civili, Bagòn e Fissciòn, di guardia al ponte di ferro affinchè si evitassero eventuali sabotaggi, dando loro una parola d’ordine per i controlli da parte delle pattuglie tedesche. Al primo controllo notturno, alla richiesta della parola d’ordine, Bagòn, che era rimasto solo, perchè il collega se ne stava tranquillamente all’osteria, rispose: – Me an la ho, u la ha Fissciòn drenta la Luna” [n.d.t. io non ce l’ho, ce l’ha Fissciòn dentro l’Osteria della Luna]
Concludo il mio omaggio al libro di Peter con un altro passo estrapolato dal magma ribollente di “Da la Vantena in giù”, si tratta di una lista di soprannomi dialettali e relativa libera (e mordace) traduzione peteriana:

  • BESAMADON – Uno molto pio
  • MUCLON – meno pio
  • CITRATO – uno rinfrescante
  • SPUDAFOGH – uno molto incazzareccio
  • LA BELA – gradevole nell’aspetto
  • SCARAFON – dall’aspetto meno gradevole
  • CICHET – che beveva
  • CHERUBEN – molto buono
  • AL DIAVLET – molto cattivo
  • GENEROS – buono d’animo
  • CIMSEN – parassita
  • BUSCON – che incassa
  • CURIER – portaordini
  • BOTA AD FER – che da sicurezza
  • BAZOT – uno molle
  • AL BOV – uno con molta forza
  • FADIGON – gran lavoratore
  • AL BOT – lamentoso
  • CIUFLET – che zufolava
  • FISSCION – che fischiava

[La fotografia di inizio post fa parte dell’archivio Belemmi. E’ una foto di gruppo di cattolichini e turisti sulla spiaggia di Cattolica nell’estate del 1929, mio nonno Attilio è il primo accosciato con i pantaloncini bianchi]

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Hotel Boston Libri Memorie

Zio Lupo

L’Hotel accoglieva i suoi ospiti con un imponente mobile ligneo di inizio secolo che dominava gran parte della Hall. Era la libreria per gli ospiti. Quella biblioteca divenne gradualmente un punto di riferimento per coloro che non disdegnavano il piacere sottile di una lettura sotto l’ombrellone. Una lettura che magari per una volta non offrisse i glutei impomatati di una procace velina alle prese con i paparazzi o le titaniche sofferenze del calciatore in convalescenza sorpreso in alto mare con uno stormo di scollate infermierine.

I titoli della bostoniana spaziavano dal giallo mondadori hard-boiled al feuilleton d’intrattenimento, dal volume divulgativo alle vecchie serie enciclopediche. E proprio in quest’ultima sezione vi erano alloggiati i Quindici, insuperato compagno d’infanzia di intere generazioni di quarantenni.

Il volume delle favole, quello dalla costa viola, era senza dubbio il più richiesto. Mamme disperate vi si rivolgevano come ad un elisir miracoloso per espletare il rituale della nanna che in vacanza pareva far cilecca. Ma era un libro a doppio taglio. Se pescavi la favola sbagliata rischiavi l’effetto opposto, con il piccolo che ti guardava con occhi sbarrati e si rifiutava categoricamente di dormire. Alcune memorabili favole come “Zio Lupo” a firma nientemeno che di Italo Calvino terminavano con una frustata: “ahm che ti mangio! – E se la mangiò. E così Zio Lupo mangia sempre le bambine golose.” Fine. Buonanotte amore mio. Buonanotte? Quale buonanotte poteva essere? Zio Lupo era di certo lì da qualche parte, acquattato nell’ombra, fuso nell’ombra più nera della stanza. Quale cavolo di buonanotte poteva essere?

La Storia di Zio Lupo era in effetti tutt’altro che edificante: una bimba che non riesce, per vergogna, a mangiarsi le frittelle della festa scolastica di Carnevale e sua madre che promette di cucinargliele per consolarla, previo prestito di una padella da un terribile e ferino parente: lo Zio Lupo. La bimba, tremante e (giustamente) timorosa, si reca così dal selvatico parente e chiede in prestito la padella. Lo Zio Lupo acconsente al prestito a patto di ottenere una contropartita adeguata di frittelle. La mamma, ricevuta l’agognata padella, sforna carriolate di Chiacchiere lasciandone una padellata per il famelico avo. La bimba (che per inciso non ha nome, mai ne hanno le vittime sacrificali) riporta la padella colma di prelibatezze, accompagnate da un filone di pane e da un fiasco di vino. Strada facendo la voracità della bimba ha la meglio sulla paura e le frittelle, il pane e poi anche il vino (con un ventilato problema di alcolismo) vengono spazzolate dall’insaziabile puella. Per sostituire il maltolto la bimba crea delle frittelle con deiezioni di Somaro, riempie il fiasco di acqua sporca presa da una pozzanghera e modella un filone di pane con della calcina da muratore. Con tali succulente libagioni si presenta a casa dello Zio che non prende affatto bene la cucina propostagli sputando ogni pietanza con disgusto roboante. Infine, intuendo il subdolo inganno, ammonisce con occhi di fuoco la fanciulla: “Stanotte vengo e ti mangio!”. La bimba torna a casa sconvolta e racconta tutto alla madre che si perita di sprangare porte e finestre della casa scordandosi improvvidamente del camino. E così la Belva giunge per ottenere la sua terribile Vendetta, con un rituale di morte che lo vede camminare sul tetto, calarsi per il camino, entrare nella stanza, sollevare le coperte e sbranare l’ingorda fanciulla.

Zio Lupo incarnò nella mia infanzia tutto ciò che di più pauroso poteva materializzarsi dal buio intorno al sonno:
“Quando fu notte e la bambina era già a letto, si sentì la voce dello Zio Lupo da fuori: – Adesso ti mangio! Sono vicino a casa! – Poi si sentì il passo vicino le tegole: – Adesso ti mangio! Sono sul tetto!…” etc. etc. con vari elementi architettonici valicati prima del fatale epilogo pappatorio. Una sorta di Liturgia dello Sbranamento, una cerimonia ancestrale scandita da lisergici aggiornamenti di status (sono sul tetto, sono nel camino, sono nella stanza, etc etc.), quasi un resoconto geolocalizzato di un assassino che va a purificare la sua vittima designata in diretta streaming.

Buon vecchio Zio Lupo, coprofago per inganno, antropofago per nemesi, un ultima preghiera da parte mia: stai lontano dal mio tetto… (se puoi)

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Cattolica Libri

Non disturbare (omaggio a Agota Kristof)

In occasione dell’entrata in funzione della nuove torre libraria da 4000 volumi del Centro Culturale Polivalente, una dozzina di poltrone con la dicitura “non disturbare” saranno disseminate in questi giorni sul territorio di Cattolica dall’amministrazione comunale. A disposizione, accanto alla poltrona, una pila virtuale di libri: un invito alla lettura per i cittadini (o un tremendo monito?).
Mi siedo in una di queste poltrone, mi metto comodo e apro bene gli occhi.

Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa valigia di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche.

Dalla mia poltrona “non disturbare” vedo la casa di Nonna, i due gemelli che aspettano in giardino, il dialogo crudele che trapela dalla finestra tra la Donna e la Vecchia Madre.

– Non c’è più niente da mangiare in casa nostra, niente pane, carne verdura, latte. Non posso più sfamarli.
– E allora ti sei ricordata di me. Per dieci anni non ti eri mai ricordata. Non sei venuta, non hai scritto” (…)
– Sono i vostri nipotini.
– I miei nipotini? Non li conosco nemmeno. Quanti sono?
– Due. Due bambini. Gemelli.
– E degli altri cosa ne hai fatto?
– Quali altri?
– Le cagne mollano lì quattro o cinque piccoli per volta. Se ne tengono due, gli altri li annegano.
L’altra voce ride molto forte. Nostra madre non dice niente e l’altra voce chiede:
– Hanno un padre almeno? Non sei sposata, che io sappia. Non sono stata invitata al tuo matrimonio.
– Sono sposata. Il Padre è al fronte. Non ho sue notizie da sei mesi.
– Allora puoi farci una croce sopra.
L’altra voce ride ancora, nostra madre piange.

Mi levo blandamente dalla poltrona “non disturbare”, alzo lo sguardo e mi accorgo che le cose hanno continuato a scorrere intorno a me, in un lento esercizio di meccanicismo.
Tutto quanto incontro al suo naturale destino, metallico e perfetto come un cielo invernale.

[brani tratti da Agota Kristof “Trilogia della città di K.” – Einaudi]