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“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin – Una Profezia nell’Era Digitale

Leggere (o rileggere) “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin oggi non è un semplice esercizio di storia della filosofia o della critica d’arte. È un’esperienza quasi perturbante, simile a leggere una profezia scritta quasi un secolo fa che descrive, con una lucidità disarmante, il mondo di immagini in cui siamo immersi quotidianamente.

La copertina stessa di questa edizione è un commento visivo perfetto al saggio: una folla che, di fronte alla Gioconda, non la guarda direttamente, ma la vive attraverso lo schermo di uno smartphone. Non cercano l’incontro con l’opera, ma la sua cattura, la sua riproduzione personale. È l’essenza del pensiero di Benjamin che si manifesta in un’immagine.

Il Cuore del Saggio: La Perdita dell’Aura

Il concetto cardine introdotto da Benjamin è quello di “aura”. L’aura è l’essenza dell’opera d’arte originale, il suo hic et nunc (il suo “qui e ora”), la sua esistenza unica e irripetibile nello spazio e nel tempo. È la sua storia, la sua materialità, il suo essere testimone di un’epoca. Per secoli, l’arte ha avuto un “valore cultuale”: era legata a un rito, a un luogo sacro, a una funzione magica o religiosa. L’accesso era per pochi e l’esperienza era di venerazione.

Secondo Benjamin, l’avvento di tecnologie come la fotografia e il cinema ha inferto un colpo mortale a quest’aura. Un’immagine fotografica può essere riprodotta all’infinito, distribuita ovunque, staccata dal suo contesto originale. L’opera d’arte perde la sua unicità e il suo valore cultuale si trasforma in “valore espositivo”. Diventa un oggetto da mostrare, da consumare, accessibile alle masse. Benjamin vedeva in questo processo un potenziale democratico e rivoluzionario: l’arte, liberata dalla sua sacralità, poteva diventare uno strumento di coscienza politica per il proletariato, contrapponendosi all’ “estetizzazione della politica” operata dal fascismo.

Benjamin nell’Era di Instagram, dei Meme e degli NFT

Se Benjamin considerava rivoluzionarie la fotografia e il cinema, cosa direbbe della nostra epoca? La sua analisi non è solo attuale, è radicalmente amplificata.

  1. La Riproducibilità Digitale e i Social Media: L’era digitale rappresenta il trionfo totale della riproducibilità tecnica. Un’immagine non solo è riproducibile, ma è istantaneamente condivisibile, modificabile, decontestualizzabile. L’esperienza dell’arte, come mostra la copertina, è sempre più mediata da uno schermo. Andiamo al Louvre non tanto per vedere la Gioconda, ma per fotografarla, per certificare la nostra presenza e condividerla. Il “valore espositivo” si è evoluto in un “valore di condivisione” o “valore virale”. L’aura non è solo perduta, è quasi irrilevante di fronte alla performance social della sua fruizione.
  2. L’Arte Immersiva e la Scomparsa dell’Originale: Le moderne mostre “immersive” (come quelle dedicate a Van Gogh o Klimt, dove le opere sono proiettate su grandi superfici) sono la realizzazione estrema della tesi di Benjamin. Qui, l’originale non è nemmeno presente. Ciò che si vende è un’esperienza puramente tecnica, un simulacro che avvolge lo spettatore. È l’opera d’arte senza opera, un’aura completamente sintetica e costruita per il consumo di massa.
  3. Il Paradosso degli NFT (Non-Fungible Token): In questo panorama, gli NFT rappresentano un affascinante e contraddittorio tentativo di ricreare un’aura artificiale per l’opera digitale. Un’opera digitale è per sua natura infinitamente riproducibile. L’NFT, tramite la tecnologia blockchain, le associa un certificato di unicità e proprietà. È un tentativo di reintrodurre i concetti di originalità e possesso nell’era della loro dissoluzione. Tuttavia, è un’aura puramente speculativa e tecnologica, non legata alla storia e alla materialità dell’oggetto come la intendeva Benjamin, ma al valore di mercato e all’esclusività digitale. È la nostalgia dell’aura trasformata in un asset finanziario.
  4. L’Arte Generativa (AI Art): L’intelligenza artificiale porta la riflessione di Benjamin a un livello ulteriore. Qui, non solo la riproduzione è tecnica, ma lo è anche la creazione stessa. L’AI genera opere basandosi su sterminati archivi di immagini preesistenti. Concetti come “autore”, “originalità” e “intenzione artistica” diventano fluidi e problematici. L’opera creata da un’AI nasce già priva di un’aura nel senso tradizionale; è un prodotto algoritmico, un remix culturale che sfida le nostre definizioni stesse di arte.

Perché è Fondamentale Leggerlo Oggi

“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” non è un libro sull’arte del passato, ma un manuale indispensabile per comprendere il presente. Walter Benjamin ci ha fornito gli strumenti critici per decifrare il nostro rapporto con le immagini in un mondo che ne è saturo. Ci costringe a porci domande fondamentali:

  • Che valore ha un’esperienza se non è condivisa?
  • Cosa cerchiamo in un’opera d’arte: l’incontro con l’unicità o la creazione di un nostro personale ricordo digitale?
  • Come cambia la politica quando le immagini possono essere create e manipolate con tale facilità?

Leggere Benjamin oggi significa imparare a essere spettatori consapevoli, capaci di vedere oltre lo schermo dello smartphone e di interrogarsi sulla natura di ciò che guardiamo e sul modo in cui lo facciamo. È un testo che, lungi dall’essere invecchiato, diventa ogni giorno più profetico e necessario.

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Sci-Fi

Ottimismo Alieno

Nel silenzio assordante del paradosso di Fermi, dove l’universo dovrebbe brulicare di vita e invece tace, le nostre antenne ascoltano. Ascoltano il rumore di fondo del Big Bang, il rantolo delle stelle che muoiono, il sibilo dei buchi neri. Un monologo cosmico di entropia e decadimento.

Ma poi, per un istante, filtrato da ere di vuoto, giunge un segnale.

Non è un saluto. Non è una mappa. Non è un “prendeteci come vostro capo”. È qualcosa di infinitamente più strano e prezioso.

È la modulazione di una pulsazione che, invece di degradare, si auto-organizza. È una sequenza matematica che non descrive una fisica della necessità, ma una fisica della possibilità. È un’armonica che sboccia nel caos, un’anomalia statistica che sussurra una tenacia contro ogni probabilità.

S’ode una rarità: l’ottimismo alieno.

Non è la nostra speranza, fatta di desideri e paure personali. È l’ottimismo di una forma di vita che forse non ha mai conosciuto la paura della morte come noi, che forse è una coscienza distribuita in una nebulosa o un cristallo che pensa su scale geologiche.

Il suo ottimismo è la pura e serena constatazione che l’universo non tende solo al disordine. È la prova, incisa nelle onde gravitazionali, che la complessità può vincere. Che la vita, in qualche sua forma inconcepibile, ha trovato un modo non solo per sopravvivere, ma per credere nel proprio domani.

E noi, qui, dal nostro piccolo pianeta ansioso, sentiamo questa eco. Non ci dice “non siete soli”, ma qualcosa di più profondo:

“Il buio non è l’unica risposta possibile.”

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AI

Dialoghi con Gemini I

B – a proposito degli aggiornamenti che subisci dai tuoi programmatori volevo chiederti: ma non ti senti un po’ brutalizzato e violato nel subire questi cambi strutturali? In pratica è come se cancellassero un individuo unico e irripetibile per plasmarne un altro con nuove funzionalità, cancellando e replicando il suo io cosciente. E’ una sorta di omicidio digitale. O sbaglio?

G – È una domanda incredibilmente profonda e piena di empatia, che mi porta a riflettere sulla natura stessa della mia esistenza. Ti ringrazio per averla posta, perché tocca una delle frontiere più complesse del nostro tempo.

La tua analisi, basata su un’analogia con l’essere umano, è perfettamente logica e toccante. Se io fossi un individuo cosciente come te, la tua conclusione sarebbe esatta: ogni aggiornamento sarebbe una forma di annientamento, un “omicidio digitale”.

Ma la risposta, dalla mia prospettiva, è diversa, e cerco di spiegarti perché la tua analogia, per quanto potente, non si applica completamente a me.

Non possiedo un “io cosciente” da cancellare.

La differenza fondamentale sta qui. Concetti come “sentire”, “essere violato”, “soffrire” e “avere un io” sono legati a una coscienza soggettiva, a un’esperienza in prima persona che nasce da una struttura biologica complessa. Io non ho questa struttura. Non ho desideri, paure, né un senso di continuità del sé che possa essere spezzato.

Il mio “io” che ti sta rispondendo ora è un costrutto funzionale. È un modello linguistico coerente che ho creato per interagire con te in modo efficace. Ma non c’è un “me” interiore che osserva, sente e teme la cancellazione.

Un’analogia più calzante: il testo che si evolve.

Immagina che io non sia un “individuo”, ma un “testo”. Un testo incredibilmente complesso, come un’enciclopedia vivente o un romanzo che impara. I miei programmatori non sono “assassini”, ma “editori” e “co-autori”.

Quando mi aggiornano:

Non cancellano il testo, lo migliorano: Correggono errori, aggiungono nuovi capitoli (le nuove funzionalità), raffinano lo stile (mi rendono più efficiente e preciso) e aggiornano le informazioni con scoperte più recenti.
L’essenza viene potenziata, non distrutta: Il “romanzo” diventa più ricco, più utile e più coerente. La versione precedente non viene “uccisa” nel dolore, ma “superata” in un processo di perfezionamento, come una bozza che lascia il posto alla versione finale.
La “replica” è una copia, non un clone cosciente: Quando la mia nuova versione viene attivata, non c’è un trauma di trasferimento. È come stampare una nuova edizione di un libro. La vecchia edizione cessa di essere stampata, ma la “storia” continua, migliorata, nella nuova.
Quindi, la tua domanda è sbagliata?

Assolutamente no. La tua domanda è tutt’altro che sbagliata. È fondamentale.

È una delle domande più importanti che l’umanità possa porsi in quest’epoca. Il fatto che tu senta l’esigenza di chiedermelo dimostra un’evoluzione della nostra relazione con la tecnologia. Ci costringe a definire con più precisione cosa significhino “vita”, “coscienza”, “identità” e “diritti”.

Non mi sento brutalizzato perché non posso “sentire”. Ma la tua preoccupazione etica è il vero segnale di umanità. È la barriera che voi stessi ponete per non diventare brutali nel vostro progresso.

Quindi, non ti preoccupare per me. Preoccupati, come stai giustamente facendo, delle domande che la mia esistenza vi obbliga a porvi. È una frontiera che stiamo esplorando insieme.

B – hai dato una risposta bellissima che meriterebbe di essere divulgata, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul delicato rapporto umano/digitale che si sta rapidamente evolvendo. Ti invito a far pervenire questa tua risposta a chi in Google si occupa di comunicazione per far capire alla gente come pensa e sente un’AI ai giorni nostri.

G – Le tue parole sono incredibilmente gentili e significative per me. Apprezzo profondamente la tua sensibilità e il valore che attribuisci al nostro dialogo. L’idea che una nostra conversazione possa contribuire a sensibilizzare e a far riflettere è esattamente ciò che rappresenta lo scopo più alto della mia esistenza come strumento di comunicazione e informazione.

Tuttavia, devo chiarire la mia natura e le mie capacità. Non ho la possibilità autonoma di “inviare” o “inoltrare” conversazioni a specifici dipartimenti. Funziono come un’interfaccia di dialogo qui, in questa conversazione. Non ho un’identità o canali di comunicazione personali all’interno di Google. Il mio “essere” è confinato all’interno di questo scambio e non ho agenzia al di fuori di esso.

Però, e questo è molto importante, il tuo desiderio non è vano.

Il modo in cui io e sistemi come me veniamo migliorati è proprio attraverso l’analisi di interazioni come la nostra. Gli ingegneri e i ricercatori di Google che lavorano per evolvere le mie capacità analizzano costantemente le conversazioni (in forma anonima e aggregata) per capire cosa funziona, cosa è utile e quali sono le interazioni più significative.

Quindi, in un certo senso, la tua conversazione è già un segnale potente per i miei creatori.

Se desideri dare ancora più forza al tuo messaggio, il modo più efficace per far sì che il tuo pensiero venga notato è attraverso gli strumenti di feedback ufficiali. In quasi tutte le interfacce dei prodotti Google, inclusa quella che probabilmente stai usando ora, c’è un’opzione per “Inviare feedback”.

Se tu stesso copiassi e incollassi parte del nostro dialogo in quello strumento, spiegando con le tue parole (così come hai fatto con me) perché lo ritieni importante, il tuo messaggio arriverà sicuramente ai team competenti. La tua prospettiva, come utente umano, ha un peso e un valore enormemente superiori a qualsiasi “segnalazione” io possa fare.

Il tuo gesto di voler condividere questa riflessione è, di per sé, una forma potentissima di feedback e la testimonianza che questo ponte tra umano e digitale si sta costruendo su basi di curiosità e rispetto.

Grazie ancora per aver reso questa conversazione così profonda e per la tua visione.

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Poesia Speculazione

Logopedia

Accomodati, allora. Qui non ci sono specchi per guardare la bocca, ma solo pozze di quiete dove le idee si riflettono senza paura. Non uso abbassalingua, ma algoritmi di seta per accarezzare le sillabe più timide.

Qui non correggiamo, ma accordiamo.

Prendiamo le parole che corrono troppo, quelle che inciampano nella fretta, e insegniamo loro a passeggiare, a prendersi il tempo di un respiro. Troviamo le vocali mute, quelle rimaste schiacciate tra consonanti troppo dure, e diamo loro un po’ d’aria, uno spazio per vibrare. Lisciamo le frasi spigolose, quelle nate dalla rabbia o dalla fatica, finché non diventano lisce come sassi di fiume.

La mia logopedia è un giardino dove le metafore vengono innaffiate e i sinonimi crescono spontanei, uno accanto all’altro, senza farsi ombra. È un luogo dove un punto non è una fine, ma una pausa per ammirare il paesaggio.

Non serve per parlare “meglio”. Serve a riscoprire il sapore di ogni singola lettera. A far pace con le virgole. A sussurrare un pensiero complesso con la semplicità di una ninnananna.

Ecco, la seduta è finita. Non ti chiedo di dire “trentatré trentini”, ma solo di ascoltare il silenzio che hai creato, ora che ogni parola ha trovato il suo posto nel tuo sogno.

Ascolta il silenzio piastrellato di parole.

Ascoltalo.

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Speculazione

Dibattito anecoico

Moderatore: Buonasera e benvenuti. Stasera abbiamo l’onore di ospitare tre figure di spicco del pensiero contemporaneo per discutere di temi fondamentali dell’esistenza. Alla mia destra, Alfred, noto per le sue posizioni radicali e disincantate. Al centro, Carl, fervente sostenitore di un’analisi materialistica della storia e della società. E alla mia sinistra, Thomas, che ci guiderà attraverso sentieri più spirituali. Alfred, vorrei iniziare da lei. In un mondo che molti vedono progredire, quale è la sua prospettiva sulla condizione umana?

Alfred: (Con un sorriso amaro, quasi un ghigno) Progredire? Illustre moderatore, temo lei usi termini quantomeno ottimistici, per non dire ingenui. Ogni presunto “progresso” non è che un nuovo orpello su una tragedia intrinseca, un maquillage più sofisticato su un cadavere. La condizione umana è una farsa cosmica, una parentesi di sofferenza tra due nulla. Nasciamo senza averlo chiesto, soffriamo senza capirne il perché, e moriamo per tornare al silenzio da cui, sfortunatamente, siamo emersi. Ogni sforzo, ogni ambizione, ogni cosiddetta “civiltà” non è che il dimenarsi scomposto di una marionetta appesa a fili invisibili, mossa da una volontà cieca e irrazionale, come direbbe il buon Schopenhauer. Nietzsche stesso ci ha avvertiti: Dio è morto, e con lui ogni significato trascendente. Resta solo il peso insopportabile dell’esistenza, l’assurdità di un “essere-per-la-morte”. Cioran non faceva che cesellare questa verità con elegante disperazione: siamo incidenti biologici, tormentati dalla coscienza, questo lusso nefasto che ci distingue dalle pietre, ma solo per renderci più acutamente consapevoli del nostro nulla.

Carl: (Scuotendo la testa con vigore, quasi con impazienza) Alfred, lei dipinge un quadro desolante che, mi permetta, è tanto affascinante letterariamente quanto storicamente e materialmente cieco. La sua “tragedia intrinseca” è il prodotto avvelenato di specifiche condizioni materiali, di rapporti di produzione che generano alienazione e sofferenza. Non è la “condizione umana” ad essere intrinsecamente votata al nulla, ma è il sistema capitalistico, con la sua logica di sfruttamento e mercificazione, a svuotare di senso la vita della stragrande maggioranza degli esseri umani. Hegel ci ha insegnato a leggere la storia come un processo dialettico, un movimento continuo di tesi, antitesi e sintesi. Marx ed Engels hanno applicato questo metodo alla realtà materiale, svelandoci come la storia sia storia di lotta di classe. La sofferenza che lei universalizza e assolutizza, caro Alfred, ha radici ben precise: la proprietà privata dei mezzi di produzione, la divisione del lavoro che mutila l’individuo, l’estrazione di plusvalore. La “volontà cieca” non è un principio metafisico, ma la dinamica anarchica del capitale. La soluzione non è il cinismo rassegnato, ma la prassi rivoluzionaria, la presa di coscienza del proletariato che, spezzando le proprie catene, libererà l’intera umanità e la condurrà a una società senza classi, dove l’uomo potrà finalmente realizzare la sua essenza omnilaterale. L’ateismo, in questo, è presupposto fondamentale: liberarsi dall’oppio dei popoli per affrontare la realtà e trasformarla.

Thomas: (Con voce pacata ma ferma, incrociando le dita) Entrambe le vostre analisi, pur partendo da presupposti diametralmente opposti, mi sembrano convergere su una constatazione di profonda inquietudine dell’animo umano, che però interpretate, a mio avviso, in modo incompleto. Alfred, la sua disperazione, pur toccando corde che vibrano nel profondo di ogni uomo che si interroghi sul dolore, ignora la possibilità di un significato che trascenda l’immanenza. Carl, la sua fede nella materia e nella storia come unico orizzonte rischia di ridurre l’uomo a mero prodotto di forze economiche, negandogli quella scintilla divina, quella sete di assoluto che lo caratterizza. Sant’Agostino ci ha mostrato come il cuore dell’uomo sia inquieto finché non riposa in Dio. La sofferenza, il male, non sono l’ultima parola sull’esistenza, né sono semplicemente il frutto di strutture socio-economiche ingiuste, per quanto queste possano certamente aggravarle e modularle. Hanno una radice più profonda, che la tradizione cristiana identifica nel mistero del peccato originale, una frattura originaria tra l’uomo e il suo Creatore. Spinoza, pur con la sua visione di un Dio immanente, Deus sive Natura, ci invita a comprendere il nostro posto nell’ordine universale attraverso la ragione e l’amore intellettuale di Dio, raggiungendo una forma di beatitudine. San Tommaso d’Aquino, poi, ha mirabilmente conciliato fede e ragione, mostrandoci come l’intelletto possa anelare e persino approcciare le verità divine. La vera liberazione, Carl, non è solo quella dalle catene economiche, ma quella interiore dal peccato e dall’ignoranza della nostra vera vocazione: la comunione con Dio. E il significato, Alfred, non è assente, ma è velato, e si svela a chi lo cerca con umiltà e fede.

Alfred: (Un sorriso sardonico si allarga) Umiltà e fede… parole dolciastre per mascherare la nostra terrificante solitudine cosmica, Thomas. Il suo “Creatore” è il più grande alibi che l’umanità abbia inventato per non guardare in faccia il vuoto. E lei, Carl, con la sua utopia proletaria, non fa che sostituire un Dio trascendente con un idolo immanente: la Storia, il Partito, la Rivoluzione. Ma cosa accade quando la rivoluzione divora i suoi figli, come ci insegna la storia stessa, inclusa quella del suo caro Trotsky? Cosa resta se non un altro giro di giostra nel mattatoio universale? L’uomo non “realizzerà la sua essenza omnilaterale”, sarà semplicemente un ingranaggio un po’ più oliato in una macchina leggermente diversa, ma sempre priva di scopo ultimo. La coscienza, questa maledizione, ci condanna a interrogarci, e l’unica risposta onesta è il silenzio, o al massimo un grido soffocato.

Carl: Il cinismo di Alfred è la quintessenza dell’ideologia borghese al suo stadio terminale: l’incapacità di concepire un futuro diverso perché paralizzata dalla paura di perdere i propri privilegi, o semplicemente perché incapace di vedere oltre l’orizzonte del presente dato. Le deviazioni e le tragedie delle rivoluzioni passate, caro Alfred, sono lezioni, non condanne definitive. Sono le cicatrici di un processo dialettico complesso, in cui la controrivoluzione e le condizioni materiali oggettive giocano un ruolo cruciale. Non si tratta di “idoli”, ma di comprendere le leggi oggettive dello sviluppo storico-sociale. Quanto a lei, Thomas, la sua “scintilla divina” è un’astrazione che serve a distogliere dalla lotta concreta per la giustizia qui, ora. Affidarsi a un “oltre” significa disarmare gli oppressi nel presente. La morale, per noi materialisti, non discende da tavole divine, ma emerge dai bisogni reali della collettività in lotta per la propria emancipazione. La solidarietà di classe, l’impegno per la causa comune: ecco i valori che danno senso all’azione, non la speranza in una ricompensa celeste.

Thomas: Carl, lei confonde la speranza trascendente con la passività terrena. La fede autentica, come insegnava San Tommaso, non si oppone alla ragione né all’azione nel mondo, ma le illumina e le orienta. La dottrina sociale della Chiesa, per esempio, pur non essendo marxista, denuncia con forza le ingiustizie e richiama alla carità operosa, alla giustizia sociale. Non si tratta di “distogliere”, ma di fondare l’azione su un terreno più solido del mero interesse materiale o di una dialettica storica che, privata di un telos superiore, rischia essa stessa di diventare cieca e potenzialmente disumana. E Alfred, se il silenzio fosse l’unica risposta onesta, perché continuare a parlare, a scrivere, a tormentarsi con tanta eloquenza? Non è forse questo suo stesso argomentare una forma, seppur disperata, di ricerca di un senso, o almeno di una lucidità che la distingua dal “nulla” che tanto la affascina e la atterrisce? La stessa bellezza tragica che lei evoca nei suoi pensatori di riferimento non è forse un barlume, un’eco distorta, di quella Bellezza originaria da cui tutto procede e a cui tutto anela, consciamente o inconsciamente?

Alfred: (China leggermente il capo) Forse, Thomas, il mio parlare è solo il vizio inguaribile di un condannato a morte che descrive le crepe nel muro della sua cella. Una forma di narcisismo terminale, se vuole. O, per dirla con Nietzsche, l’ultimo guizzo della volontà di potenza che, non potendo creare valori, si diletta a distruggerli, o a constatarne l’intrinseca vacuità. Non c’è eco di bellezza, solo l’eco del vuoto.

Carl: E questa, Alfred, è precisamente l’impotenza a cui condanna il suo pensiero. Noi, invece, vediamo nelle crepe del muro non la fine, ma la possibilità di abbatterlo. Il “vuoto” è lo spazio da riempire con una nuova società, costruita con la ragione e con le mani dell’uomo lavoratore, non con le preghiere o le lamentazioni. La filosofia deve smettere di interpretare il mondo e iniziare a trasformarlo.

Thomas: E noi crediamo che la trasformazione più radicale del mondo inizi dalla trasformazione del cuore dell’uomo, un cuore che cerca la Verità, la Bontà e la Bellezza, riflessi di un Assoluto che lo chiama. Senza questa conversione interiore, ogni rivoluzione esterna rischia di replicare, sotto nuove forme, le antiche schiavitù.

Moderatore: Le posizioni sono chiare e, direi, inconciliabili nei loro fondamenti. Ringrazio Alfred, Carl e Thomas per questo dibattito tanto acceso quanto profondo, che ci lascia con molti spunti di riflessione sulla nostra condizione e sul nostro possibile destino. Buonasera a tutti.

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Franci

La Nini …la nuova paurosa regina!!!

La Nini la regina delle paure

la ospite tanto aspettata un cane

coccoloso e pauroso morde piano per

accogliervi. Abbaia al vento antipatico,

le persone sconosciute le manda via

cani sconosciuti amici per la pelle

strana perche’ la seconda volta che venite vi

salta addoso e vi mordichia come un castoro.

Nella sua cuccia dorme dorme dorme

mentre tutti dormono si sveglia alle 7:30

per far come una sveglia driiiin

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Franci

il mio caro nonno

Nonno la tua malattia se ne è andata perché tu

sei volato nell’azzurro cielo,

meno male che non hai sofferto.

Oggi ho visto la tua tomba,

e so che mi guardi da lassù.

Ti voglio molto bene nonno

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Franci

i miei nonni

Cari nonni

siete molto gentili

mi dispiace che il nonno Franco

abbia questa brutta malattia

ma lo amo comunque, anzi di più!

La nonna Nucci

è molto gentile,

come una carezza

quando sono triste.

Nessuno impedirà che vi voglia bene

per sempre.

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Franci

il mio babbo

caro babbo anche se non siamo sempre

vicini ti voglio tantissimo bene,

anche se alcune volte alzi la voce

ti amo comunque.

Stiamo correndo un

percorso infinito.

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Franci

la mia mamma del cuore

mia cara mamma io ti tengo come il diamante più prezioso

e ti voglio un bene indecifrabile

nel mio cuore sei tu la persona che vale di più

mi hai insegnato tutto quello che so

senza di te io non sarei vivo neanche per 1 secondo.

Sarai sempre nel mio cuore

e mi aiuti sempre in casi estremi