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Speculazione

Dibattito anecoico

Moderatore: Buonasera e benvenuti. Stasera abbiamo l’onore di ospitare tre figure di spicco del pensiero contemporaneo per discutere di temi fondamentali dell’esistenza. Alla mia destra, Alfred, noto per le sue posizioni radicali e disincantate. Al centro, Carl, fervente sostenitore di un’analisi materialistica della storia e della società. E alla mia sinistra, Thomas, che ci guiderà attraverso sentieri più spirituali. Alfred, vorrei iniziare da lei. In un mondo che molti vedono progredire, quale è la sua prospettiva sulla condizione umana?

Alfred: (Con un sorriso amaro, quasi un ghigno) Progredire? Illustre moderatore, temo lei usi termini quantomeno ottimistici, per non dire ingenui. Ogni presunto “progresso” non è che un nuovo orpello su una tragedia intrinseca, un maquillage più sofisticato su un cadavere. La condizione umana è una farsa cosmica, una parentesi di sofferenza tra due nulla. Nasciamo senza averlo chiesto, soffriamo senza capirne il perché, e moriamo per tornare al silenzio da cui, sfortunatamente, siamo emersi. Ogni sforzo, ogni ambizione, ogni cosiddetta “civiltà” non è che il dimenarsi scomposto di una marionetta appesa a fili invisibili, mossa da una volontà cieca e irrazionale, come direbbe il buon Schopenhauer. Nietzsche stesso ci ha avvertiti: Dio è morto, e con lui ogni significato trascendente. Resta solo il peso insopportabile dell’esistenza, l’assurdità di un “essere-per-la-morte”. Cioran non faceva che cesellare questa verità con elegante disperazione: siamo incidenti biologici, tormentati dalla coscienza, questo lusso nefasto che ci distingue dalle pietre, ma solo per renderci più acutamente consapevoli del nostro nulla.

Carl: (Scuotendo la testa con vigore, quasi con impazienza) Alfred, lei dipinge un quadro desolante che, mi permetta, è tanto affascinante letterariamente quanto storicamente e materialmente cieco. La sua “tragedia intrinseca” è il prodotto avvelenato di specifiche condizioni materiali, di rapporti di produzione che generano alienazione e sofferenza. Non è la “condizione umana” ad essere intrinsecamente votata al nulla, ma è il sistema capitalistico, con la sua logica di sfruttamento e mercificazione, a svuotare di senso la vita della stragrande maggioranza degli esseri umani. Hegel ci ha insegnato a leggere la storia come un processo dialettico, un movimento continuo di tesi, antitesi e sintesi. Marx ed Engels hanno applicato questo metodo alla realtà materiale, svelandoci come la storia sia storia di lotta di classe. La sofferenza che lei universalizza e assolutizza, caro Alfred, ha radici ben precise: la proprietà privata dei mezzi di produzione, la divisione del lavoro che mutila l’individuo, l’estrazione di plusvalore. La “volontà cieca” non è un principio metafisico, ma la dinamica anarchica del capitale. La soluzione non è il cinismo rassegnato, ma la prassi rivoluzionaria, la presa di coscienza del proletariato che, spezzando le proprie catene, libererà l’intera umanità e la condurrà a una società senza classi, dove l’uomo potrà finalmente realizzare la sua essenza omnilaterale. L’ateismo, in questo, è presupposto fondamentale: liberarsi dall’oppio dei popoli per affrontare la realtà e trasformarla.

Thomas: (Con voce pacata ma ferma, incrociando le dita) Entrambe le vostre analisi, pur partendo da presupposti diametralmente opposti, mi sembrano convergere su una constatazione di profonda inquietudine dell’animo umano, che però interpretate, a mio avviso, in modo incompleto. Alfred, la sua disperazione, pur toccando corde che vibrano nel profondo di ogni uomo che si interroghi sul dolore, ignora la possibilità di un significato che trascenda l’immanenza. Carl, la sua fede nella materia e nella storia come unico orizzonte rischia di ridurre l’uomo a mero prodotto di forze economiche, negandogli quella scintilla divina, quella sete di assoluto che lo caratterizza. Sant’Agostino ci ha mostrato come il cuore dell’uomo sia inquieto finché non riposa in Dio. La sofferenza, il male, non sono l’ultima parola sull’esistenza, né sono semplicemente il frutto di strutture socio-economiche ingiuste, per quanto queste possano certamente aggravarle e modularle. Hanno una radice più profonda, che la tradizione cristiana identifica nel mistero del peccato originale, una frattura originaria tra l’uomo e il suo Creatore. Spinoza, pur con la sua visione di un Dio immanente, Deus sive Natura, ci invita a comprendere il nostro posto nell’ordine universale attraverso la ragione e l’amore intellettuale di Dio, raggiungendo una forma di beatitudine. San Tommaso d’Aquino, poi, ha mirabilmente conciliato fede e ragione, mostrandoci come l’intelletto possa anelare e persino approcciare le verità divine. La vera liberazione, Carl, non è solo quella dalle catene economiche, ma quella interiore dal peccato e dall’ignoranza della nostra vera vocazione: la comunione con Dio. E il significato, Alfred, non è assente, ma è velato, e si svela a chi lo cerca con umiltà e fede.

Alfred: (Un sorriso sardonico si allarga) Umiltà e fede… parole dolciastre per mascherare la nostra terrificante solitudine cosmica, Thomas. Il suo “Creatore” è il più grande alibi che l’umanità abbia inventato per non guardare in faccia il vuoto. E lei, Carl, con la sua utopia proletaria, non fa che sostituire un Dio trascendente con un idolo immanente: la Storia, il Partito, la Rivoluzione. Ma cosa accade quando la rivoluzione divora i suoi figli, come ci insegna la storia stessa, inclusa quella del suo caro Trotsky? Cosa resta se non un altro giro di giostra nel mattatoio universale? L’uomo non “realizzerà la sua essenza omnilaterale”, sarà semplicemente un ingranaggio un po’ più oliato in una macchina leggermente diversa, ma sempre priva di scopo ultimo. La coscienza, questa maledizione, ci condanna a interrogarci, e l’unica risposta onesta è il silenzio, o al massimo un grido soffocato.

Carl: Il cinismo di Alfred è la quintessenza dell’ideologia borghese al suo stadio terminale: l’incapacità di concepire un futuro diverso perché paralizzata dalla paura di perdere i propri privilegi, o semplicemente perché incapace di vedere oltre l’orizzonte del presente dato. Le deviazioni e le tragedie delle rivoluzioni passate, caro Alfred, sono lezioni, non condanne definitive. Sono le cicatrici di un processo dialettico complesso, in cui la controrivoluzione e le condizioni materiali oggettive giocano un ruolo cruciale. Non si tratta di “idoli”, ma di comprendere le leggi oggettive dello sviluppo storico-sociale. Quanto a lei, Thomas, la sua “scintilla divina” è un’astrazione che serve a distogliere dalla lotta concreta per la giustizia qui, ora. Affidarsi a un “oltre” significa disarmare gli oppressi nel presente. La morale, per noi materialisti, non discende da tavole divine, ma emerge dai bisogni reali della collettività in lotta per la propria emancipazione. La solidarietà di classe, l’impegno per la causa comune: ecco i valori che danno senso all’azione, non la speranza in una ricompensa celeste.

Thomas: Carl, lei confonde la speranza trascendente con la passività terrena. La fede autentica, come insegnava San Tommaso, non si oppone alla ragione né all’azione nel mondo, ma le illumina e le orienta. La dottrina sociale della Chiesa, per esempio, pur non essendo marxista, denuncia con forza le ingiustizie e richiama alla carità operosa, alla giustizia sociale. Non si tratta di “distogliere”, ma di fondare l’azione su un terreno più solido del mero interesse materiale o di una dialettica storica che, privata di un telos superiore, rischia essa stessa di diventare cieca e potenzialmente disumana. E Alfred, se il silenzio fosse l’unica risposta onesta, perché continuare a parlare, a scrivere, a tormentarsi con tanta eloquenza? Non è forse questo suo stesso argomentare una forma, seppur disperata, di ricerca di un senso, o almeno di una lucidità che la distingua dal “nulla” che tanto la affascina e la atterrisce? La stessa bellezza tragica che lei evoca nei suoi pensatori di riferimento non è forse un barlume, un’eco distorta, di quella Bellezza originaria da cui tutto procede e a cui tutto anela, consciamente o inconsciamente?

Alfred: (China leggermente il capo) Forse, Thomas, il mio parlare è solo il vizio inguaribile di un condannato a morte che descrive le crepe nel muro della sua cella. Una forma di narcisismo terminale, se vuole. O, per dirla con Nietzsche, l’ultimo guizzo della volontà di potenza che, non potendo creare valori, si diletta a distruggerli, o a constatarne l’intrinseca vacuità. Non c’è eco di bellezza, solo l’eco del vuoto.

Carl: E questa, Alfred, è precisamente l’impotenza a cui condanna il suo pensiero. Noi, invece, vediamo nelle crepe del muro non la fine, ma la possibilità di abbatterlo. Il “vuoto” è lo spazio da riempire con una nuova società, costruita con la ragione e con le mani dell’uomo lavoratore, non con le preghiere o le lamentazioni. La filosofia deve smettere di interpretare il mondo e iniziare a trasformarlo.

Thomas: E noi crediamo che la trasformazione più radicale del mondo inizi dalla trasformazione del cuore dell’uomo, un cuore che cerca la Verità, la Bontà e la Bellezza, riflessi di un Assoluto che lo chiama. Senza questa conversione interiore, ogni rivoluzione esterna rischia di replicare, sotto nuove forme, le antiche schiavitù.

Moderatore: Le posizioni sono chiare e, direi, inconciliabili nei loro fondamenti. Ringrazio Alfred, Carl e Thomas per questo dibattito tanto acceso quanto profondo, che ci lascia con molti spunti di riflessione sulla nostra condizione e sul nostro possibile destino. Buonasera a tutti.

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Franci

La Nini …la nuova paurosa regina!!!

La Nini la regina delle paure

la ospite tanto aspettata un cane

coccoloso e pauroso morde piano per

accogliervi. Abbaia al vento antipatico,

le persone sconosciute le manda via

cani sconosciuti amici per la pelle

strana perche’ la seconda volta che venite vi

salta addoso e vi mordichia come un castoro.

Nella sua cuccia dorme dorme dorme

mentre tutti dormono si sveglia alle 7:30

per far come una sveglia driiiin

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Franci

il mio caro nonno

Nonno la tua malattia se ne è andata perché tu

sei volato nell’azzurro cielo,

meno male che non hai sofferto.

Oggi ho visto la tua tomba,

e so che mi guardi da lassù.

Ti voglio molto bene nonno

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Franci

i miei nonni

Cari nonni

siete molto gentili

mi dispiace che il nonno Franco

abbia questa brutta malattia

ma lo amo comunque, anzi di più!

La nonna Nucci

è molto gentile,

come una carezza

quando sono triste.

Nessuno impedirà che vi voglia bene

per sempre.

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Franci

il mio babbo

caro babbo anche se non siamo sempre

vicini ti voglio tantissimo bene,

anche se alcune volte alzi la voce

ti amo comunque.

Stiamo correndo un

percorso infinito.

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Franci

la mia mamma del cuore

mia cara mamma io ti tengo come il diamante più prezioso

e ti voglio un bene indecifrabile

nel mio cuore sei tu la persona che vale di più

mi hai insegnato tutto quello che so

senza di te io non sarei vivo neanche per 1 secondo.

Sarai sempre nel mio cuore

e mi aiuti sempre in casi estremi

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Franci

la mia cara maestra

O mia cara maestra tu rimarrai sempre nel mio cuore.

Tu mi aiuti sempre a superare le difficoltà

sei sempre lì vicino

ad aiutarmi a scuola e a casa.

Sei sempre felice non vedo l’ora che tu ci sia.

Ogni giorno sarai con me.

Sei sempre tanto gentile

con me e le maestre

attorno a te.

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Poesia

Secca

Dove i bruciati passi
incrociano le modalità spente dell'acqua
un arso clangore 
sfiora il suo stridulo
cocente
deserto
e gli occhi cercano
disperati
un'acqua
evaporata
nel retaggio 
di un mare avaro 
e ctonio.

Eppure
a ben guardare
qualche sapida stilla
è rimasta
a giocare
tra le piccole dune
di carta vetrata
e se ci cascasse il piede
argentine campanule
trillerebbero
all'unisono
e salirebbero azzurre stille
nel pallido cielo
irrigato a festa
celebrando
una gioia antica

un mare rievocato
in forma
di particole

e che pare gridare:
Aspettami!
Ritornerò!
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Poesia

Prossima Distanza

a Valeria
Sono entrato 
in questa Distanza
e ti ho raggiunta.
Nell'assenza
quasi innata, 
ma presente,
in qualche modo.

Come ti ho trovata
mi chiederai.

Brilla ancora di te
un sorriso trafugato
alle crudeli Moire:
un cono sfilacciato 
che flette lo spazio.

Non potevo sbagliarmi.

Questa Distanza
è confortevole,
tra tutte quelle finora percorse
- a tentoni, a carponi,
in dolorosa prostrazione -
io qui mi fermerei.
Tra queste agavi
e questa sabbia, 
e questo azzurro deserto
disporrei il bivacco,
un fuoco e qualche parola
decaduta in sussurro.
Con calma 
organizzerei la ricerca
della tua vacuità.

Sì è vero,
mi rinfacciano 
i tuoi muti contorni,
il mio trasandato
disprezzo per 
lo Spirito, per il Cielo
gonfio di candore,
è stato un macigno
nel tuo cuore fremente,
nel tuo pensiero
inondato di sangue e fede.

Ma ti assicuro
sono cambiato.
Programmerò
il mio confino
in questa regione,
riuscirò perfino
a darti un profilo,
un'assenza prestabilita.
E poi potrò pensare 
di elevarmi
fino al tuo Dio
per sfigurarlo con la mia
prosaica missione.

Le Distanze intanto
ruotano in perfetto asse 
intorno a questo piano 
che di cartesiano non ha più nulla.
Cerco di sviare i miei occhi da te
guardando quelle cieche orbite
mentre vorticano 
mentre scorticano l'aria.

Ma non ho più fiato.
La tua impalpabilità
mi annerisce i denti.
Mancano le leggi,
o forse
manca un refolo di vita,
per uscirne fuori,
per dirimere il paradosso.

Le Distanze vacillano
collidono
stridendo
coincidono,
mi franano addosso,
illudono gli occhi
in morta Parata.

Rimane solo 
- lontana - la tua remota risata,
la deriva dello spazio,
prima ancora della memoria,
lo strazio
ineluttabile
della tua storia
già fuggita,
già perduta.


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Est-Etica

Transumanesimo di Giuseppe Vanni: oltre l’uomo

Dante, nel primo canto del Paradiso, e non a caso precisamente in quel luogo, introduce il concetto di “Trasumanar”, ossia di spingersi oltre l’umano per ascendere all’Oggetto Divino. Un’operazione di aereo superamento dunque per trascendere la propria greve condizione umana e cogliere Dio. Si tratta di un neologismo, un termine coniato dal Sommo Poeta per aggirare i limiti del Linguaggio e tentare di descrivere l’abbattimento dei limiti umani per potersi rapportare al Superno. E il Poeta tale collasso semantico lo sottolinea con veemenza nella Commedia: “Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba” (Paradiso, I, vv. 70-73). Il Lessico non è più utile, ma occorre la Fede per uscire dal corto circuito logico.

Giuseppe Vanni, amico e poeta cattolichino, rielabora nella sua ultima raccolta poetica Transumanesimo (Fara Edizioni, 2021) il concetto dantesco in una funzione antropocentrica: il (disperato) tentativo di trascendere i limiti umani, non già per arrivare a conoscere Dio, ma per una volontà di potenza estremamente pragmatica e terrena. Trascendere la condizione umana per creare un nuovo essere capace di travalicare la propria condizione per giungere ad una nuova e potenziata essenza umana. Un concetto splendidamente descritto nel prologo (Genome Editing) in versi di fulminante presenza: “Non più nell’Amore/ origina il mistero/ dell’evoluzione./ Non figli di Dio,/ ma di una mutazione.”. Quasi a scagliarsi contro questo spasmodico anelito di superamento della condizione umana per plasmare il Prototipo Perfetto, Nietzsche avrebbe detto il Superuomo.

Un’esigenza quasi cronachistica quella di Vanni nel descrivere la parabola discendente dell’Uomo, evidenziata anche dalla scelta dei titoli delle sezioni della raccolta: Crepuscolo, Declino, Calpestare, e Mondo Nuovo. Una tassonomia della Nuova Umanità sciorinata in versi essenziali e asciutti, quasi illuminanti haiku sullo sgretolamento di un Mondo, di una Realtà che va disintegrandosi intorno, dove ogni relazione umana è progressivamente disciolta nella proiezione febbrile verso un Futuro inesistente, oscuro, senza prospettive.

In uno dei componimenti più belli dell’intera raccolta (Intreccio) troviamo il senso di questo straniamento dinanzi a una Realtà aliena e inconoscibile.

L'intreccio
che ti ha portato qui
ho smesso di dipanarlo
ormai da giorni.
Mi accontento di averti
se ci sei, non mi chiedo
se parti dove vai.
Non cerco parole 
per dirti chi siamo:
ho smesso di rispondere
a chi chiede ragione
di un attimo.

Dinanzi ad una Realtà densa di barocchismi e di biforcazioni perenni l’autore cerca di stringere a sè i propri affetti. Una realtà che ormai è impossibile da conchiudere in una definizione univoca ma che si presenta come una tentacolare entità che ghermisce e stritola l’uomo, che fallisce nel compito di ritrovarsi dentro di Essa, ma si perde nel suo continuo divenire.

Transumanesimo è una raccolta del Distacco. Un lungo amaro allontanamento da ciò che il Poeta non può più cogliere nè comprendere. Ogni modello, ogni pattern fallisce nell’ascrivere una sentenza tassonomica sul Mondo Esteriore. L’unica certezza è questo progressivo e inesorabile declino dell’Uomo attraverso un inane quanto inutile tentativo di superarsi, di elevarsi al di sopra di questo rutilante fluire. La difesa poetica sta nell’astrazione della Parola, nel contendere alla Verità ultima un grumo poetico di autentica umanità, come in un altro luogo memorabile della raccolta, il componimento Ombre, i cui versi finali recitano come un bruciante epitaffio: “E’ un baleno la verità/ che ti s’approssima,/ l’istante che t’afferra/ a ipotecarti la vita./ Ma tutto ancora/ alla pupilla/ rapido s’imbruna,/ l’incantesimo svanisce./ Per un attimo la verità./ la dannazione per l’eternità.”

L’uomo ormai è solo dinanzi allo sfacelo della sua Storia: un rapido istante di consapevolezza lo inchioda per sempre al suo destino.