a Valeria
Sono entrato in questa Distanza e ti ho raggiunta. Nell'assenza quasi innata, ma presente, in qualche modo. Come ti ho trovata mi chiederai. Brilla ancora di te un sorriso trafugato alle crudeli Moire: un cono sfilacciato che flette lo spazio. Non potevo sbagliarmi. Questa Distanza è confortevole, tra tutte quelle finora percorse - a tentoni, a carponi, in dolorosa prostrazione - io qui mi fermerei. Tra queste agavi e questa sabbia, e questo azzurro deserto disporrei il bivacco, un fuoco e qualche parola decaduta in sussurro. Con calma organizzerei la ricerca della tua vacuità. Sì è vero, mi rinfacciano i tuoi muti contorni, il mio trasandato disprezzo per lo Spirito, per il Cielo gonfio di candore, è stato un macigno nel tuo cuore fremente, nel tuo pensiero inondato di sangue e fede. Ma ti assicuro sono cambiato. Programmerò il mio confino in questa regione, riuscirò perfino a darti un profilo, un'assenza prestabilita. E poi potrò pensare di elevarmi fino al tuo Dio per sfigurarlo con la mia prosaica missione. Le Distanze intanto ruotano in perfetto asse intorno a questo piano che di cartesiano non ha più nulla. Cerco di sviare i miei occhi da te guardando quelle cieche orbite mentre vorticano mentre scorticano l'aria. Ma non ho più fiato. La tua impalpabilità mi annerisce i denti. Mancano le leggi, o forse manca un refolo di vita, per uscirne fuori, per dirimere il paradosso. Le Distanze vacillano collidono stridendo coincidono, mi franano addosso, illudono gli occhi in morta Parata. Rimane solo - lontana - la tua remota risata, la deriva dello spazio, prima ancora della memoria, lo strazio ineluttabile della tua storia già fuggita, già perduta.