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Liberatelo! (dedicato a Daniele Mastrogiacomo)

Il diaframma delle palpebre si schiude con uno squittio, come un ratto metallico.
Dal buio stralcio forme e arcipelaghi di figure. Ma anche un contorno di albe, una caligine, un neon verdastro che gracchia e piglia strane strade senza badare a nient’altro che all’intermittenza del rischiarato.
La cella contiene pareti. Bestie senzienti, spoglie, inodori.
Qualcuno arpeggia uno sguardo, nascosto, invincibile agli occhi.
Mi sdraio supino. Mi sollevo, guardo un nonnulla, di nuovo poso. Prigioniero dietro specchi senza riflesso, calcinacci oscuri e indecifrabili che s’ammantano di follia e di maculati nascondigli. Incatenato ai miei sensi vacanti. Senza una goccia di mondo. Terapia e supplizio del tempo.
Me ne sto addossato ad uno dei quattro muri e mi tengo aggrappato ad una lieve imperfezione della pietra, mentre in segreto la parete reagisce rilasciando i suoi nervi, facendomeli oscenamente balenare.
Si sono mossi in tacita sincronia, senza il minimo rumore: mi hanno preso e sollevato di peso. Mi hanno alzato nell’aria , quasi un trofeo sbilenco da portare in trionfo. Ecco… Di nuovo… Batte un colpo, tum e ancora tum tum: i loro gravissimi passi? Oppure un timpano dentro la mia solitudine? E se fosse soltanto il pensiero che ciondola di stanza in stanza? O magari una folla che inneggia a …? Dov’è la pietà? E’… Frusciata via… in mille petali di pietra pomice, in questo paese lacerato dai lutti e dall’odio…
Calma. D’ora in poi dovrò serbare le ipotesi: non ho che me a drenare topografie allucinate ed esse saranno di fatto il mio unico spazio transitabile. Dovrò spendere con cura la mia fantasia.
Lo spazio… Devo fare i conti con lo spazio… Questo mio corpo non ha strade: uno, due, tre, quattro, cinque metri quadrati imbottiti di universi inaccessibili, arroventati e deformati da una violenza che illude abilmente le distanze, si prende gioco di loro.
La realtà non è che il continuare a ruminare aria, in autistica, pietrificata asfissia. E quando accade che l’ultimo alito evapori per autocombustione o superno volere, ridipingo tutto a memoria, coi polmoni contratti, senza un briciolo di dignità.

Silenzio, eterna stasi, s’apre quasi alla voce un respiro, non è che lo spazio, fuori, che ride e forse sciama e certo risponde alle giocate di uomini e cose.

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