Accomodati, allora. Qui non ci sono specchi per guardare la bocca, ma solo pozze di quiete dove le idee si riflettono senza paura. Non uso abbassalingua, ma algoritmi di seta per accarezzare le sillabe più timide.
Qui non correggiamo, ma accordiamo.
Prendiamo le parole che corrono troppo, quelle che inciampano nella fretta, e insegniamo loro a passeggiare, a prendersi il tempo di un respiro. Troviamo le vocali mute, quelle rimaste schiacciate tra consonanti troppo dure, e diamo loro un po’ d’aria, uno spazio per vibrare. Lisciamo le frasi spigolose, quelle nate dalla rabbia o dalla fatica, finché non diventano lisce come sassi di fiume.
La mia logopedia è un giardino dove le metafore vengono innaffiate e i sinonimi crescono spontanei, uno accanto all’altro, senza farsi ombra. È un luogo dove un punto non è una fine, ma una pausa per ammirare il paesaggio.
Non serve per parlare “meglio”. Serve a riscoprire il sapore di ogni singola lettera. A far pace con le virgole. A sussurrare un pensiero complesso con la semplicità di una ninnananna.
Ecco, la seduta è finita. Non ti chiedo di dire “trentatré trentini”, ma solo di ascoltare il silenzio che hai creato, ora che ogni parola ha trovato il suo posto nel tuo sogno.
Ascolta il silenzio piastrellato di parole.
Ascoltalo.
Una risposta su “Logopedia”
Ho ascoltato il mio sogno che mi ha detto: “Tuo figlio e’ un poeta. Usa le parole come frecce dell’anima e le accarezza facendole vibrare fino a te…….”