Ci sediamo fuori, come se fosse facile affrontare a viso aperto una notte come questa. Il suo sorriso sfibrato e tagliente è sempre lo stesso. Mi rilasso sulla sedia mentre seguo la corrente umana che fluisce aldilà della terrazza, migliaia di gambe che portano corpi nello spazio, vittime dell’entropia e dello shopping. Lui è con me. Lo sento respirare in un tempo di quattro quarti, un metronomo asciutto e affidabile. Lo intravedo sul morire del campo visivo, sfocato al mio fianco, presumo anche lui rapito da quel flusso di carne e bigiotteria. In sottofondo una chitarra jazz, mi pare sia il disco di Jim Hall. L’arpeggio acustico accompagna degnamente tutti quei visi stralunati, in balia della passeggiata serale.
Non parliamo. Non ancora. Sento il rumore della sua pelle mentre fruscia sui braccioli della sedia. Per un attimo giuro a me stesso che potrei rimodularne la tonalità, ma è solo finzione, è solo narcisismo e nient’altro.
Spendiamo ancora qualche minuto a guardare la gente a passeggio e a bere birra in silenzio. La sua voce infine arriva, e quasi non ascolto le parole, mi concentro sul tono. La sua voce mi dice cose che le parole non possono spiegare. La sua intonazione, la sua gamma, il suo timbro, la sua inflessione. Musica delle parole, movimento delle labbra, suono articolato. Infine mi concentro sul significato perdendomi i titoli di testa.
Mi sta dicendo che deve morire. Ha fatto non so quali esami. Ha consultato non so quale primario. Ha un qualcosa alla testa. Mentre lo dice distorce la parola “qualcosa” scivolando sulla sibilante e ridendo sommessamente di quel suono lunare che riesce a tirarne fuori. Dice che hanno anche provato a operarlo ma l’han subito richiuso. Mi mostra una cicatrice tra i capelli con un movimento obliquo del capo.
Perdo le mie parole, ora. Balbetto qualcosa. Qualcosa di ridicolo, di programmatico, di già scritto. Lui ride, con un che di paterno. Una tenerezza che mi ferisce ancora di più. La sedia si muove sotto il mio peso, sento lo stridio delle gambe sulle mattonelle. Oltre i vetri della terrazza la gente continua a camminare. Tutto è movimento, instancabile, inarrestabile, esausto movimento di persone che vanno verso un punto indefinito della mappa cittadina. Sento il suo respiro calmo, la sua ironia di sempre, ben celata e pronta a scattare. La sua intelligenza implacabile che cova come un fuoco sotto la cenere. Ho freddo. Non lo guardo più.
Alzo gli occhi alla notte. Se non fosse per il cielo buio vedrei carovane di nuvole lassù, mentre scorrono silenziose, in balia dei venti notturni. Invisibili nascondono le stelle, e la luna a volte.
(a Ivano)
2 risposte su “Se non fosse per il cielo buio”
bellissimo
davvero bello anzi da brividi! rubo e condivido su facebook grazie Marco sei speciale!