Il MetaBlog è un Blog che parla di se stesso. Si interroga sulla sua potenza. Pensavo questo oggi, e pensavo anche a questo gigantesco fenomeno dei blog, sì insomma, come tutto questo fiorire di taccuini binari sia in realtà una risposta univoca: un tentativo di *sistemare* la molteplicità del Reale attraverso un linguaggio collettivo. Un linguaggio che trascende il Reale, che trascende lo stesso Pensiero che l’ha generato, che aspiri alla Totalità dei Fenomeni. Non una Biblioteca, non un’Enciclopedia, non un’enorme Banca Dati, ma la Realtà stessa. Allora salto subito a Husserl e alla sua Fenomenologia e mi dico: alla fine arrivo sempre morbosamente lì… Ma no, c’è dell’altro, qualcosa di nuovo stavolta. Dapprima mi sono illuso di covare qualcosa di realmente originale, e mi sono tenuto stretto quel pensiero, fin dopo pranzo. Poi mi sono reso conto che stavo rielaborando qualcosa di già masticato, e no, non erano i cannelloni di Nonna Olga. Non proprio, si trattava di quando ancora mi sentivo un pioniere dell’autoreferenzialità dei linguaggi e leggevo Wittgenstein e Valéry con l’entusiasmo di un nerd.
Paul Valéry, appunto. Scalo a fatica la biblioteca di casa e recupero i quattro tomi Adelphi dei Quaderni, maravigliosa fucina di ingegno e unico luogo adibito a celare la mia inferiorità intellettuale.
Ed ecco che a pagina 19 del vol. 2 pesco la matta:
“L’uomo spera di superare il proprio pensiero mediante il proprio linguaggio. Vuole e crede nel dire più di quanto non convenga. Quando dice il Mondo egli non possiede, dopo tutto, che un bizzarro brandello di visione, e l’arrotonda sulla sua bocca. Prende di mira il tutto, come il minuscolo occhio la montagna.”
Bellissimo e ingovernabile, una disfatta lucente. Una sintesi mirabile di ciò che invano ci affanniamo a costruire tramite il Linguaggio, dell’abisso oscuro in cui brancoliamo, senza la minima speranza di guadagnare la superficie respirabile, neppure intrecciando le dita di miliardi di blog che rimbalzano come neuroni di un unico fugace pensiero, già irrimediabilmente perso.
[brano tratto da Paul Valéry, Quaderni volume secondo, ed. Adelphi]