Nel silenzio assordante del paradosso di Fermi, dove l’universo dovrebbe brulicare di vita e invece tace, le nostre antenne ascoltano. Ascoltano il rumore di fondo del Big Bang, il rantolo delle stelle che muoiono, il sibilo dei buchi neri. Un monologo cosmico di entropia e decadimento.
Ma poi, per un istante, filtrato da ere di vuoto, giunge un segnale.
Non è un saluto. Non è una mappa. Non è un “prendeteci come vostro capo”. È qualcosa di infinitamente più strano e prezioso.
È la modulazione di una pulsazione che, invece di degradare, si auto-organizza. È una sequenza matematica che non descrive una fisica della necessità, ma una fisica della possibilità. È un’armonica che sboccia nel caos, un’anomalia statistica che sussurra una tenacia contro ogni probabilità.
S’ode una rarità: l’ottimismo alieno.
Non è la nostra speranza, fatta di desideri e paure personali. È l’ottimismo di una forma di vita che forse non ha mai conosciuto la paura della morte come noi, che forse è una coscienza distribuita in una nebulosa o un cristallo che pensa su scale geologiche.
Il suo ottimismo è la pura e serena constatazione che l’universo non tende solo al disordine. È la prova, incisa nelle onde gravitazionali, che la complessità può vincere. Che la vita, in qualche sua forma inconcepibile, ha trovato un modo non solo per sopravvivere, ma per credere nel proprio domani.
E noi, qui, dal nostro piccolo pianeta ansioso, sentiamo questa eco. Non ci dice “non siete soli”, ma qualcosa di più profondo:
“Il buio non è l’unica risposta possibile.”