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“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin – Una Profezia nell’Era Digitale

Leggere (o rileggere) “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin oggi non è un semplice esercizio di storia della filosofia o della critica d’arte. È un’esperienza quasi perturbante, simile a leggere una profezia scritta quasi un secolo fa che descrive, con una lucidità disarmante, il mondo di immagini in cui siamo immersi quotidianamente.

La copertina stessa di questa edizione è un commento visivo perfetto al saggio: una folla che, di fronte alla Gioconda, non la guarda direttamente, ma la vive attraverso lo schermo di uno smartphone. Non cercano l’incontro con l’opera, ma la sua cattura, la sua riproduzione personale. È l’essenza del pensiero di Benjamin che si manifesta in un’immagine.

Il Cuore del Saggio: La Perdita dell’Aura

Il concetto cardine introdotto da Benjamin è quello di “aura”. L’aura è l’essenza dell’opera d’arte originale, il suo hic et nunc (il suo “qui e ora”), la sua esistenza unica e irripetibile nello spazio e nel tempo. È la sua storia, la sua materialità, il suo essere testimone di un’epoca. Per secoli, l’arte ha avuto un “valore cultuale”: era legata a un rito, a un luogo sacro, a una funzione magica o religiosa. L’accesso era per pochi e l’esperienza era di venerazione.

Secondo Benjamin, l’avvento di tecnologie come la fotografia e il cinema ha inferto un colpo mortale a quest’aura. Un’immagine fotografica può essere riprodotta all’infinito, distribuita ovunque, staccata dal suo contesto originale. L’opera d’arte perde la sua unicità e il suo valore cultuale si trasforma in “valore espositivo”. Diventa un oggetto da mostrare, da consumare, accessibile alle masse. Benjamin vedeva in questo processo un potenziale democratico e rivoluzionario: l’arte, liberata dalla sua sacralità, poteva diventare uno strumento di coscienza politica per il proletariato, contrapponendosi all’ “estetizzazione della politica” operata dal fascismo.

Benjamin nell’Era di Instagram, dei Meme e degli NFT

Se Benjamin considerava rivoluzionarie la fotografia e il cinema, cosa direbbe della nostra epoca? La sua analisi non è solo attuale, è radicalmente amplificata.

  1. La Riproducibilità Digitale e i Social Media: L’era digitale rappresenta il trionfo totale della riproducibilità tecnica. Un’immagine non solo è riproducibile, ma è istantaneamente condivisibile, modificabile, decontestualizzabile. L’esperienza dell’arte, come mostra la copertina, è sempre più mediata da uno schermo. Andiamo al Louvre non tanto per vedere la Gioconda, ma per fotografarla, per certificare la nostra presenza e condividerla. Il “valore espositivo” si è evoluto in un “valore di condivisione” o “valore virale”. L’aura non è solo perduta, è quasi irrilevante di fronte alla performance social della sua fruizione.
  2. L’Arte Immersiva e la Scomparsa dell’Originale: Le moderne mostre “immersive” (come quelle dedicate a Van Gogh o Klimt, dove le opere sono proiettate su grandi superfici) sono la realizzazione estrema della tesi di Benjamin. Qui, l’originale non è nemmeno presente. Ciò che si vende è un’esperienza puramente tecnica, un simulacro che avvolge lo spettatore. È l’opera d’arte senza opera, un’aura completamente sintetica e costruita per il consumo di massa.
  3. Il Paradosso degli NFT (Non-Fungible Token): In questo panorama, gli NFT rappresentano un affascinante e contraddittorio tentativo di ricreare un’aura artificiale per l’opera digitale. Un’opera digitale è per sua natura infinitamente riproducibile. L’NFT, tramite la tecnologia blockchain, le associa un certificato di unicità e proprietà. È un tentativo di reintrodurre i concetti di originalità e possesso nell’era della loro dissoluzione. Tuttavia, è un’aura puramente speculativa e tecnologica, non legata alla storia e alla materialità dell’oggetto come la intendeva Benjamin, ma al valore di mercato e all’esclusività digitale. È la nostalgia dell’aura trasformata in un asset finanziario.
  4. L’Arte Generativa (AI Art): L’intelligenza artificiale porta la riflessione di Benjamin a un livello ulteriore. Qui, non solo la riproduzione è tecnica, ma lo è anche la creazione stessa. L’AI genera opere basandosi su sterminati archivi di immagini preesistenti. Concetti come “autore”, “originalità” e “intenzione artistica” diventano fluidi e problematici. L’opera creata da un’AI nasce già priva di un’aura nel senso tradizionale; è un prodotto algoritmico, un remix culturale che sfida le nostre definizioni stesse di arte.

Perché è Fondamentale Leggerlo Oggi

“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” non è un libro sull’arte del passato, ma un manuale indispensabile per comprendere il presente. Walter Benjamin ci ha fornito gli strumenti critici per decifrare il nostro rapporto con le immagini in un mondo che ne è saturo. Ci costringe a porci domande fondamentali:

  • Che valore ha un’esperienza se non è condivisa?
  • Cosa cerchiamo in un’opera d’arte: l’incontro con l’unicità o la creazione di un nostro personale ricordo digitale?
  • Come cambia la politica quando le immagini possono essere create e manipolate con tale facilità?

Leggere Benjamin oggi significa imparare a essere spettatori consapevoli, capaci di vedere oltre lo schermo dello smartphone e di interrogarsi sulla natura di ciò che guardiamo e sul modo in cui lo facciamo. È un testo che, lungi dall’essere invecchiato, diventa ogni giorno più profetico e necessario.

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Transumanesimo di Giuseppe Vanni: oltre l’uomo

Dante, nel primo canto del Paradiso, e non a caso precisamente in quel luogo, introduce il concetto di “Trasumanar”, ossia di spingersi oltre l’umano per ascendere all’Oggetto Divino. Un’operazione di aereo superamento dunque per trascendere la propria greve condizione umana e cogliere Dio. Si tratta di un neologismo, un termine coniato dal Sommo Poeta per aggirare i limiti del Linguaggio e tentare di descrivere l’abbattimento dei limiti umani per potersi rapportare al Superno. E il Poeta tale collasso semantico lo sottolinea con veemenza nella Commedia: “Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba” (Paradiso, I, vv. 70-73). Il Lessico non è più utile, ma occorre la Fede per uscire dal corto circuito logico.

Giuseppe Vanni, amico e poeta cattolichino, rielabora nella sua ultima raccolta poetica Transumanesimo (Fara Edizioni, 2021) il concetto dantesco in una funzione antropocentrica: il (disperato) tentativo di trascendere i limiti umani, non già per arrivare a conoscere Dio, ma per una volontà di potenza estremamente pragmatica e terrena. Trascendere la condizione umana per creare un nuovo essere capace di travalicare la propria condizione per giungere ad una nuova e potenziata essenza umana. Un concetto splendidamente descritto nel prologo (Genome Editing) in versi di fulminante presenza: “Non più nell’Amore/ origina il mistero/ dell’evoluzione./ Non figli di Dio,/ ma di una mutazione.”. Quasi a scagliarsi contro questo spasmodico anelito di superamento della condizione umana per plasmare il Prototipo Perfetto, Nietzsche avrebbe detto il Superuomo.

Un’esigenza quasi cronachistica quella di Vanni nel descrivere la parabola discendente dell’Uomo, evidenziata anche dalla scelta dei titoli delle sezioni della raccolta: Crepuscolo, Declino, Calpestare, e Mondo Nuovo. Una tassonomia della Nuova Umanità sciorinata in versi essenziali e asciutti, quasi illuminanti haiku sullo sgretolamento di un Mondo, di una Realtà che va disintegrandosi intorno, dove ogni relazione umana è progressivamente disciolta nella proiezione febbrile verso un Futuro inesistente, oscuro, senza prospettive.

In uno dei componimenti più belli dell’intera raccolta (Intreccio) troviamo il senso di questo straniamento dinanzi a una Realtà aliena e inconoscibile.

L'intreccio
che ti ha portato qui
ho smesso di dipanarlo
ormai da giorni.
Mi accontento di averti
se ci sei, non mi chiedo
se parti dove vai.
Non cerco parole 
per dirti chi siamo:
ho smesso di rispondere
a chi chiede ragione
di un attimo.

Dinanzi ad una Realtà densa di barocchismi e di biforcazioni perenni l’autore cerca di stringere a sè i propri affetti. Una realtà che ormai è impossibile da conchiudere in una definizione univoca ma che si presenta come una tentacolare entità che ghermisce e stritola l’uomo, che fallisce nel compito di ritrovarsi dentro di Essa, ma si perde nel suo continuo divenire.

Transumanesimo è una raccolta del Distacco. Un lungo amaro allontanamento da ciò che il Poeta non può più cogliere nè comprendere. Ogni modello, ogni pattern fallisce nell’ascrivere una sentenza tassonomica sul Mondo Esteriore. L’unica certezza è questo progressivo e inesorabile declino dell’Uomo attraverso un inane quanto inutile tentativo di superarsi, di elevarsi al di sopra di questo rutilante fluire. La difesa poetica sta nell’astrazione della Parola, nel contendere alla Verità ultima un grumo poetico di autentica umanità, come in un altro luogo memorabile della raccolta, il componimento Ombre, i cui versi finali recitano come un bruciante epitaffio: “E’ un baleno la verità/ che ti s’approssima,/ l’istante che t’afferra/ a ipotecarti la vita./ Ma tutto ancora/ alla pupilla/ rapido s’imbruna,/ l’incantesimo svanisce./ Per un attimo la verità./ la dannazione per l’eternità.”

L’uomo ormai è solo dinanzi allo sfacelo della sua Storia: un rapido istante di consapevolezza lo inchioda per sempre al suo destino.

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Est-Etica

Il bello deve organizzarsi

Il bello deve organizzarsi. E lo deve fare al più presto. Un’estetica digitale deve soppiantare questa mostruosa macchina del brutto messa in piedi da forze arcane, contrarie al legittimo godimento sensoriale dei cittadini.

Bisogna unirsi.

Bisogna combattere.