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Memorie cattolichine

Da la Vantena in giù” è l’ultima fatica letteraria (us fa par dì, dice lui) di Peter Tonti, cattolichino verace, che non è sbagliato definire coscienza storica della città, magari insieme ad altri due insigni annalisti della Regina quali Lucia De Nicolò e Guido Paolucci.
Il libro è un compendio di poesie dialettali dell’autore, brani di vita vissuta e anedottica sparsa, fotografie d’epoca e memorie di una topografia e di una toponomastica inghiottite dal vortice degli anni e sopravvisute quasi esclusivamente nell’oralità degli anziani e nei loro ineffabili intercalari dialettali. Inutile dire che pur nel suo apparente caos strutturale il libro risulta estremamente godibile e perfino affascinante nei suoi rimandi storici, collocandosi come importante riferimento per un recupero di tradizioni e uomini che hanno fatto di Cattolica quello che attualmente è: uno dei più importanti centri turistici di tutta la costa adriatica.
In verità alcuni aneddoti sono talmente esilaranti che non posso esimermi dal pubblicarli, eccone un paio:
“Voi tutti avrete sentito parlare di Gianèn, dunque Gianèn ha conosciuto la sua futura moglie sotto una pioggia di bombe e granate, mentre il fronte passava sul fiume Conca dove i due erano sfollati. Tanto tempo dopo, dopo l’ennesima lite con la moglie, Gianèn andò in Comune a chiedere i documenti per fare la richiesta dei danni di guerra. Quando l’impiegato gli chiese che tipo di danni avesse subito, Gianèn candidamente rispose: – Che dann ca ho avù? Più che dann l’è stè na catastrofe! Ho cnusù la mi moj drent el rifugio!” [n.d.t. Che danni ho avuto? Più che un danno è stata una catastrofe! Ho conosciuto mia moglie dentro il rifugio!]
“Un giorno del 1943, i tedeschi misero due civili, Bagòn e Fissciòn, di guardia al ponte di ferro affinchè si evitassero eventuali sabotaggi, dando loro una parola d’ordine per i controlli da parte delle pattuglie tedesche. Al primo controllo notturno, alla richiesta della parola d’ordine, Bagòn, che era rimasto solo, perchè il collega se ne stava tranquillamente all’osteria, rispose: – Me an la ho, u la ha Fissciòn drenta la Luna” [n.d.t. io non ce l’ho, ce l’ha Fissciòn dentro l’Osteria della Luna]
Concludo il mio omaggio al libro di Peter con un altro passo estrapolato dal magma ribollente di “Da la Vantena in giù”, si tratta di una lista di soprannomi dialettali e relativa libera (e mordace) traduzione peteriana:

  • BESAMADON – Uno molto pio
  • MUCLON – meno pio
  • CITRATO – uno rinfrescante
  • SPUDAFOGH – uno molto incazzareccio
  • LA BELA – gradevole nell’aspetto
  • SCARAFON – dall’aspetto meno gradevole
  • CICHET – che beveva
  • CHERUBEN – molto buono
  • AL DIAVLET – molto cattivo
  • GENEROS – buono d’animo
  • CIMSEN – parassita
  • BUSCON – che incassa
  • CURIER – portaordini
  • BOTA AD FER – che da sicurezza
  • BAZOT – uno molle
  • AL BOV – uno con molta forza
  • FADIGON – gran lavoratore
  • AL BOT – lamentoso
  • CIUFLET – che zufolava
  • FISSCION – che fischiava

[La fotografia di inizio post fa parte dell’archivio Belemmi. E’ una foto di gruppo di cattolichini e turisti sulla spiaggia di Cattolica nell’estate del 1929, mio nonno Attilio è il primo accosciato con i pantaloncini bianchi]

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Parlari di Cattolica

asìnbel: siamo belli, nel senso di “stiamo freschi”, con marcato senso ironico.
azdòra: la Massaia intesa come Regina incontrastata delle mura domestiche e dei fornelli.
baghèn: il Baghino cioè il Maiale, usato anche come iperonimo di prosciutto, cotica, pancetta, etc.
burdèl: ragazzo, bambino, anche come esclamazione di meraviglia.
capè: capare, scegliere con cura da una moltitudine, capare i fagiolini buoni.
ciafagna: sonnolenza
fraid: fradicio, consunto, macerato.
furmentòn: il mais.
fusaja: bruscolini, sementine, ceci, lupini.
illuzìd: illozzito, sporco, anche in senso lato riferito ad un modo di fare sciatto e trasandato.
invurnìd: lento, ottuso, non così sveglio come lo si vorrebbe.
lassandè: lascia andare, smettila, non dire corbellerie.
lumaghèn: i lumachini di mare.
luvarìa: dolciume, golosità.
mutòr: il motore, per metonimia significa ciclomotore. Curioso l’episodio di un motociclista romano che alla domanda di un cattolichino “l’el tu el mutòr?” (è tuo il motore?) rispondeva: “eccerto ch’è mmjo, e pure ‘a carena, er manubrio, ‘o specchietto, er tubbo der gas…”
pataca: bamboccione, imbecille. Interessante l’etimologia: dall’arabo “bâtaquâ” contrazione di “abû” e “abon tâca” che alla lettera significa: “il padre della finestra”, termine con il quale i Mori di Spagna confidenzialmente chiamavano la piastra spagnola (moneta dell’epoca), sulla quale erano effigiate le Colonne d’Ercole, che per essi rappresentavano una sorta di finestra sull’ignoto. Col tempo il significato assunse l’accezione più volgare ( e decisamente meno suggestiva) di “macchia”, “sudiciume” facendo riferimento ad una macchia sugli abiti grande come la moneta. In Romagna sembra che il termine abbia poi assunto valore nominale traslando il retaggio semantico a persona fisica: “tsì propria un gran pataca”, oppure anche volgarmente all’organo sessuale femminile: la patacca.
radanèd: radanato, ordinato, ripulito, ben vestito.
ravanè: ravanare, mescolare e pescare dal torbido
sburòn: sburrone, borioso, arrogante, fanfarone.
scalfanècc: scalfaniccio, tanfo di sudore rappreso: t’fe pòza ad scalfanècc.
scarana: la sedia, intuibile la derivazione da “scranno” a sua volta etimologicamente affine al germanico “shrank” e al francese “écran”. Cfr. Dante: “Or chi tu se’ che vuoi sedere a scranna / Per giudicar di lungi mille miglia / Con la veduta corta di una spanna? ” (Paradiso, XIX, 79)
sgudèble: antipatico, spigoloso, sgusciante, sgudibolo.
sguèla: sguilla, scivola, sfugge al controllo, probabile contrazione del verbo “scivolare” e del sostantivo “anguilla”.
suncècia: salsiccia.
svarzòn: svarzone, olezzo insopportabile, tanfo.
toddecàz: togliti dalla mia vista, sparisci.