Categorie
Poesia

Euristica dell’Afflizione II



la Malattia
che tutti temiamo
ha eroso
le anime
di malati non malati già in piedi
ed ora mortiferenti
con il loro cupo
fardello di paure
timori di ingerire
un’aria brulicante
di vettori
di virus incubati
mentre uomini
stanno
soli alle finestre di strade vuote
ascoltando in strepitante silenzio
i silenzi di altri uomini
muti
azzannati da
anecoici pensieri
di morte
di vita frantumata
in uno spongiforme
cervello
corroso da dedali
di vie inesplose.

Il Virus
lui sì che parla
attraverso
il vento, i fumi,
i falsi profili dei cadaveri.

Uniti in strada
da un leggero
sciabordio
di dissoluzione
stanno le potenziali vittime,
gli ospiti:
coloro che chiamavano
umanità.

Categorie
Poesia

Euristica dell’Afflizione I

anche se
nel busto piegato della sera
trovassi
il senso della memoria,
o la musica perduta
nei sassi delle parole,
avrei combattuto invano.

le case serrate,
le anime rintanate,
i volti secretati,
il tuo sibillino mimetismo
tutto tesse e sfilaccia
un sogno senza sogni.

rimane soltanto
il formicaio dei ricordi
ove s’annida
senza passione
in fremente ristagno
astuto il ragno
dell’afflizione.

Categorie
Giostre Poesia

Tu sai

woodman

Tu sai.
Le mie parole
vanno come i miei anni,
dileguando.
Fors’anche
sai l’apice,
in cui sempre t’affanni.
“Bada”,
si dice,
puoi essere tu,
in mia assenza,
epicentro in cenere
d’ogni dissolvenza.

Categorie
Poesia

Drappo nero

Ho allungato una mano ma tu non c’eri,
ho inseguito il tuo respiro,
come un cervo spossato
attraverso un bosco infinito,
tra un latrare di rami
e il labirinto verde dell’erba.

Un drappo nero ormai ci divide,
come a teatro un buio sipario,
di quelli impossibili ad aprirsi,
separa le storie in fieri
da quelle silenziose in platea.

Sì, è vero, sei qui: ti tocco, ti bacio
colgo l’antica ironia nel tuo sguardo.
Ma sei in un’altra storia,
in un altro imprendibile Avello,
con i tuoi Demoni privati
e le scarnificate memorie.

Racconti di persone che passano
nei tuoi luoghi segreti,
invadendo anche l’intimo rifugio
che hai faticosamente eretto.

Mi parli di presenze, di angeli perduti,
di voci che narrano in silenzio
memorie cancellate dal torpore,
da quel tremolio leggero del Tempo.

Sussurri di impercettibili silenzi,
che ossessionano il rumore dei denti,
il corpo, la pelle, le unghie, la saliva,
l’umana fatica di vivere che stritola.

Babbo, mio fragile tremolante guerriero,
tu mi hai insegnato il suono del vento,
la rorida presenza di Dio in un prato al mattino.

Tu mi hai donato l’ironia del Non Detto,
parole che scavallano frasi e son già sorrisi,
senza dilapidare un singolo suono.

Tu mi hai guardato con l’amore di un Padre,
e io ritrovo la tua aura in quel perduto senso
di un sogno masticato dal mattino,
in quell’ombra in bilico
sul morire del campo visivo.

La tua essenza è intatta,
nessun tremore la fa vacillare.

Il Drappo nero che ci separa
non può offuscare la luce di una Vita.

Categorie
Canzoni

Xanadu

In una nuvola di mercurio e follia
in una sfera di oscura magia
gravita un antico e vetusto maniero
roccaforte in bilico tra falso e vero

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
la meta sei soltanto tu

Oltre le sette colline fatate
oltre le torri rabberciate
aldilà del pensiero degli dei
cantato da tutti i Corifei

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
la meta sei soltanto tu

E quando credi di averlo raggiunto
e quando allunghi il tuo dito smunto
antimateria è quel che senti
soltanto il nulla battuto dai venti

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
la meta sei soltanto tu

Soltanto il nulla cantato dai venti
soltanto aria in mezzo ai tuoi denti
Soltanto sogni sprecati al mattino
sciolti nel vuoto di un triste cammino…

Xanadu Xanadu
quel luogo non esiste più!
Xanadu Xanadu
quel luogo sei soltanto tu
quel luogo sei soltanto tu
quel luogo sei soltanto tu

Categorie
Poesia

Sogno nel Sogno

In questa notte d’aprile
gonfia di piogge e ricordi
non so dormire,
la morte mi è accanto
come sogno ostile
come rapida ladra d’ingegni
che seppe sfilarci Pavese
nel culmine acido
di occhi tanatoici
volati via.

Ed io con i miei teneri dolori
penso alla vita
che si duplica nel sonno,
avverto oltre l’oscuro
i febbrili affanni
d’un sogno bambino
che crepita nel ventre
amniotica tempesta
che si dissolve calma
nel sovrastante sogno
dell’incosciente madre.

Sogno nel sogno
neve su neve
ombra dentro al buio.

Categorie
Epigrammi

Zanzara

L’ultima volta che ho incrociato Zanzara era nell’estate dell’86 mi pare… Era tutto preso da chissà quale progetto e se ne andava fantasticando su un mondo libero da vincoli sociali, di casta, di media… 
Il buon vecchio Zanzara è sempre stato un poco tocco e non ci feci caso più di tanto limitandomi a sorridere, annuire, dare pacche sulla spalla, invitare a bere un caffè, insomma la solita trafila di attenzione distratta che si concede ad un amico eccentrico e anche un po’ rompiballe…
Poi più niente…
Per più di vent’anni di Zanzara si son perse le tracce e nessuno si ricordava neppure che faccia avesse… Si diceva che si era trasferito altrove ed era partito senza avvertire nessuno, altri dicevano che aveva trovato la donna in qualche setta religiosa tipo gli Esperantisti e si era convertito anima e core alla nuova dottrina, altri ancora dicevano che era stato rapito dai marziani e aveva aperto un bar su Saturno…
Insomma Zanzara era sparito. Era questo l’unico incontrovertibile dato di fatto.
Poi improvvisamente un paio di giorni fa l’ho rivisto. Era sdraiato sulla panchina di un piccolo parco pubblico, con il giornale a mo’ di coperta, con le mani intrecciate dietro la nuca, aveva un milione di miliardi di anni in più.
-Zanzara, ma sei tu?
-mmm?
-Ah mi scusi l’avevo scambiata per un altro.
Sono tornato sul piccolo sentiero in mezzo a quello sparuto fazzoletto di verde, mi sono fermato, ho alzato la mano invisibile e l’ho salutato, ma lui si era già voltato dall’altra parte e del mio gesto è rimasto soltanto un vuoto simulacro di saluto.

Categorie
Memorie

In memoria di Andrea Magalotti

Una delle ultime cose che vide fu un arrembaggio di pedoni: un furioso e determinato incedere di  piccoli  guerrieri che travolgevano ogni difesa dell’avversario. Una rete di matto pazientemente intessuta dai pezzi più umili e dimessi…
Andrea cercò nella sua mente le possibilità dell’avversario calcolando ogni tangibile scenario.
Migliaia di smottamenti tellurici investirono quel piccolo scenario di 64 caselle. Andrea socchiuse gli occhi e quasi pregustò la parata vittoriosa.
Luci sbiadite fuggirono dal suo giorno quasi a rincorrersi come Morgane assetate di cielo e vastità. Allungò una mano per scacciare gli ultimi mostri: i sacrifici, le mosse irrazionali, le difese disperate, i tentativi di un Perpetuo trovato all’ultimo istante. Grani di luce si dissolsero nella sua mente e la sua visione fu improvvisamente chiara: abbacinante. Ogni musica giungeva a lui con un’armonia prestabilita e i suoni della scacchiera risultavano attutiti, fiochi, leggeri. Come vapori dispersi alle prime luci dell’alba.
Le voci si fecero confuse, lontane… 
Un rumore di erba, d’infanzia diradata, una cortina che improvvisamente veniva a cadere, con moto sciancato e ossessivamente lento.
Andrea si rese conto che l’ebbrezza di luce non era più una variante ma  parte integrante del suo nuovo restare, del suo candido ricollocarsi in un ambito più aereo, più imprevedibilmente lieve…
Sorrise in quel suo modo obliquo e impenetrabile, sparse nuvole d’ironia e affrettò il passo.

[ciao Andrea! buona strada ovunque tu sia!]

Categorie
Poesia

E finalmente Giostre, dopo 22 anni, vide la luce

giostreE finalmente il manoscritto ritrovato in Cantina (e non a Saragozza) vide la luce binaria di Amazon e si aprì al mondo sotto forma di eBuco.

Una raccolta giovincella di poesie, epodi e liste della spesa composte dal 1988 al 1992 che avevo malignamente sversato su fogli di carta velina tramite un Olivetti Lettera 22 appartenuta precedentemente a mia zia Lucia e che feci mia, nel senso hegeliano del termine. Mi furono accanto in quel travagliato e rorido periodo di composizione Bruno Munari e lo Scrondo per accompagnarmi in quella desolata landa che taluni chiamano The Waste Land e talaltri Porta a Porta.

Se disgraziatamente voleste avventurarvi in un tale minareto di sogni infranti potrete accedervi tramite l’Acheronte Digitale che prende il nome di Amazon punto it. Lo potrete raccattare per 99 centesimi che – sappiatelo – impiegherò per acquistare nuovi rimedi tricologici contro la calvizie neuronale che mi sta avvizzendo tutte le idee più fighe. Oppure ci farei un vaso di terracotta da incastrare sullo zenit per raccogliere furori di stelle e passiflore celesti. O anche un brullo cadavere di acciaio inossidabile per confortare le signore sulla via di Damasco verso licenziosi postriboli per sole donne. O almeno una cuffia per la piscina. Amaranto.

Categorie
Cattolica Poesia

Le badanti e la luce di Anna Achmatova

Da un po’ di anni si registra l’inesorabile e sotterranea infiltrazione di una una silenziosa milizia in capillare espansione. E’ l’Invencible Armada delle badanti, un brodo primordiale di etnie: ucraine, russe, bielorusse, georgiane, moldave, lettoni, lituane, estoni, azere, armene, kazake, turkmene. Donne nerborute che cullano negli occhi gli spazi siderali delle steppe caucasiche e si cibano dell’artrite dei nostri nonnini.

Si ritrovano in punti precisi della città, abitualmente a pomeriggio inoltrato nei giardinetti di fronte a Palazzo Mancini o sulle panchine del Parco della Pace. Sono una corporazione in continua espansione che comunica cavalcando migliaia di dialetti slavi e pianifica una sottomissione non violenta dell’Occidente per mezzo di una strategia sublime: la sistematica conquista di ogni uomo sopra i 40 anni dotato di codice fiscale e passaporto italiano.

Le maliarde hanno potenti armi conquistatrici: 1) una forza fisica ancestrale con cui piegano facilmente gli omuncoli autoctoni pieni di nevrosi e rimedi olistici, 2) sguardi di acciaio da cui non trapela intendimento nè indecisione, 3) una fittissima rete di relazioni che mettono a frutto con machiavellica sagacia.

Hanno qualcosa di indefinibile e potente nel portamento, un’aura oscura che trascolora in un lirismo solitario e dilagante divenendo impenetrabile corazza contro ogni genere di avversità. Poderose e incrollabili si stagliano contro il vento, e guardandole si ha quasi l’impressione di assistere al manifestarsi di una forza sovrumana. Contrappongono un nerbo, una fierezza che parla di atavica sofferenza, di fatica, di lavoro, di sacrifici, di samovar bollenti, di legna resinosa che scoppietta nel fuoco, di esilio dal secolo, o anche dei versi asciutti di Anna Achmatova.

Come in “Ultimo Brindisi”, una poesiola pubblicata nel 1934. Parole che si attagliano alla pelle di queste donne venute da lontano penetrandone il tranquillo mistero. La durezza di questi versi è la durezza di questa gente:

Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.