Un mese di assenza.
Un mese di traumi ferragostani e fuochi d’artificio in fieri.
Un mese di folla in bermuda e auto da posteggiare.
Un mese di camerieri bizzosi.
Un mese di scartafacci da vergare.
Un mese di ombrelloni all’orizzonte.
Un mese di sabbia e gelosie.
Un mese di “scusi, per l’autodromo?”.
Un mese di aperitivi sprite-trebbiano-campari.
Un mese di vita archiviata.
Un mese di aria condizionata dentro la pelle.
Un mese di sorrisi precotti.
Un mese di Sergio e la sua ragazza di 26 anni.
Un mese di faide calabresi.
Un mese di wi-fi regalato alla ionosfera.
Un mese di battaglie invisibili su Google.
Un mese di pagerank negato.
Un mese di Winnie Pooh e di pc usurpato da Elmore.
Un mese di sofismi sul maltempo.
Un mese di mugugni sul maltempo.
Un mese di “domani han messo il sole”.
Un mese di tariffe all-inclusive e quasi-inclusive.
Un mese di chiavi tintinnanti.
Un mese di sussurri nell’ombra e di cospirazioni sventate.
Un mese di lotta titanica con la schiuma della spina.
Un mese di posteggi crudeli e auto segregate.
Un mese di baci sopiti.
Un mese di “salvelox”, “sbidiguda”, “antani” e “andicapo di altitudine”.
Un mese di sogni sudati.
Un mese di pesci sventrati e pane grattato.
Un mese.
Rieccomi.
Tutto intero o quasi.
Un Lazzaro di cartapesta.
Categoria: Speculazione
Le Origini di Cattolica
Ho appena terminato di leggere un volume di Lucia De Nicolò dal titolo “Cattolica, città del viaggiatore” edito da Edimond nel 2005. Un libro che mi ero sempre ripromesso di leggere e che era rimasto sullo scaffale per parecchio tempo prima di essere vivificato dalla lettura. E devo dire che Lucia De Nicolò, insigne storica cattolichina, ha intrapreso un viaggio ammaliante attraverso la tortuosa linea del tempo, ripercorrendo a ritroso le fasi storiche della formazione dell’abitato romagnolo. Un compendio sulla sua ( e sulla mia) città che mi ha lasciato con un piacevole retrogusto di piccole scoperte, di segreti sussurrati dietro i pesanti tendaggi della Storia e che in definitiva mi ha donato una nuova prospettiva con cui poter osservare il mio piccolo formicaio.
Il viaggio attraverso il passato prende inizio dagli albori dell’insediamento, da ciò che l’archeologia ci racconta della Cattolica romana attraverso una serie di reperti che attestano come Cattolica sia sorta quale luogo di sosta per i viaggiatori che percorrevano la via Flaminia e che necessitavano di una posta per i cavalli prima di raggiungere le terre ravennati, la citta di Ariminum (Rimini) o quella di Pisaurum (Pesaro). Quindi una vocazione per l’ospitalità che già era presente nello stadio embrionale e che contraddistinguerà tutta la storia del borgo romagnolo attraverso la ruota del tempo e dei cicli umani. Siamo nati per essere albergatori, questo è certo e storicamente comprovato.
Il passo che mi ha colpito di più è l’excursus sull’origine del toponimo “Cattolica” che riporto per intero, certo della sua pregnanza:
“Se non sussistono dubbi sulla fondazione del castrum Catholicae, avvenuta nel 1271, rimangono però irrisolti alcuni quesiti, non ultimo quello della scelta del nome attribuito a questo insediamento. Perché questo centro è stato chiamato Cattolica e non per esempio Castelnuovo o Borgonuovo, o simili, come è accaduto per altri centri di nuova creazione documentabili nell’età medievale? Gli storici dal Seicento in poi che si sono interessati alla storia di questo luogo non si sono posti il problema, limitandosi a riportare riguardo alla giustificazione del toponimo un passo tratto dagli Annali Ecclesiastici del cardinal Baronio, che lega le origini del castello e l’imposizione del nome ad un episodio avvenuto in occasione del concilio di Rimini del 359 d.C. Si racconta infatti che i vescovi cattolici in fuga da quel congresso avevano trovato ricovero e protezione in un villaggio costiero, al quale per questa ragione in seguito era stato dato il nome di Cattolica. Una lapide apocrifa collocata sulla facciata dell’antica chiesa di Sant’Apollinare nel 1637, per volere dell’allora Cardinal Legato Bernardino Spada, tramanda appunto questa leggenda che, pur priva di fondamenta, storici e viaggiatori hanno poi contribuito a rafforzare nel tempo e a diffondere: ‘Nel 359, mentre era pontefice Massimo Liberio, sotto l’imperaore Costanzo, il mondo cristiano si faceva specie di essere ariano, dal momento che si sentiva ottenebrato dagli inganni degli eretici. Perciò 400 vescovi ortodossi, che erano approdati a questo lido per compiere i propri riti separatamente dagli ariani ed avevano accolto i cattolici in una comune assemblea, offrirono il pretesto,perché quello stesso villaggio venisse chiamato ‘La Cattolica’. Il Cardinale Cesare Baronie, poi, nei suoi Annali Ecclesiastici spiegò la ragione di quel nome e narrò l’intero fatto. Il Cardinale Bernardino Spada, per illuminare i pellegrini devoti e per dare testimonianza del proprio affetto nei confronti delle sue terre, fece incidere il ricordo su questa lapide nell’anno 1637′.
Recenti studi però hanno suggerito una nuova e più concreta spiegazione storica in quanto viene considerata la valenza bizantina del termine ‘cattolica’, riferito appunto a beni territoriali di carattere pubblico rintracciabili nelle terre dell’Esarcato e della Pentapoli (Carile, 1987).
La fortuna del toponimo antico si deve però sostanzialmente agli arcivescovi di Ravenna, la cui giurisdizione, sostituitasi a quella del dominio bizantino, arrivava ad abbracciare anche vasti territori della bassa Romagna. Ad essi infatti si deve la decisione di connotare, alla fine del Duecento, con il nome di Cattolica il castrum sulla strada Flaminia in cui avrebbero potuto trovare asilo i profughi dei castelli di Focara che, in urto con i pesaresi, avevano chiesto di potersi trasferire con le loro famiglie al di fuori del governo di quella città. Per dare nome al nuovo insediamento venne infatti utilizzato un vocabolo già esistente, tramandato dal passato, che qualificava in quell’epoca il corso d’acqua, il rivus Catholice appunto, e insieme tutto il piano circostante (planus Catholicae) prescelto per la fondazione del nucleo abitativo. Il vocabolo ‘cattolica’, dal greco bizantino, risulterebbe dunque sinonimo di ‘beni a carattere pubblicistico’, in altri termini, luoghi di proprietà demaniale.”
Il libro prosegue il suo cammino attraverso il tempo per approdare nel ventesimo secolo quando da semplice crocevia Cattolica attrae a sè una popolazione stanziale che si dedica alla pesca e alle attività marinare costruendo un’economia di base con la quale il paese acquista gradualmente solidità, grazie anche alla sua collocazione geografica strategica..
Il passo verso la balnearità, il turismo e la valorizzazione delle risorse naturali fu breve, e la Cattolica che tutti conosciamo si plasmò con la grazia di un piccolo fiore di magnolia: da minuscolo virgulto nel dopoguerra fino al meraviglioso fiore dei giorni nostri.
Terziario Arretrato
Ho convinto Fragola a scucire qualche brandello di conversazione strappato all’etere e diligentemente imbottigliato, catalogato e conservato in qualche oscuro file della sua cantina virtuale. Per farlo gli ho straparlato del blog come mezzo ideale per la diffusione o l’implementazione o quel che più gli piaceva della sua Creatura Dialogica Perfetta. Ha vacillato poi ha bofonchiato di una comunicazione a senso unico: “no, no, non c’è alternanza dialettica nel blog, mi pare… cheeee… non vadaaaa…”, allora ho inferto il colpo fatale parlandogli di come la gente che legge il blog interagisca con l’autore tramite i commenti, “Ma tu li puoi censurareeee…” “No, mio dolce Fragola, ho scelto l’opzione della pubblicazione immediata, tutto passa, tutto appare, la censura la lascio ad altri”. Infine è crollato e mi ha passato un paio di hard disk, dopo un’attenta cernita tra i suoi scaffali.
Ok, lo so, è abietto, a ben pensarci è addirittura morboso, però è anche infinitamente affascinante. Chi ricorda la rubrica “Terziario Arretrato” sull’indimenticato Cuore in cui campeggiavano stralci di conversazioni telefoniche intercettate con i primi scanner e sadicamente esposte al pubblico ludibrio? Era la prima cosa che andavo a leggere, tutta d’un fiato. L’altalena dialogica, il botta e risposta, le rivelazioni intime, i segreti confidati, le ingiurie, gli amori invisibili, le imprecazioni, la lingua italiana presa a calci. In una parola: il Logos denudato e imbrigliato. A proposito di Cuore, parenteticamente ne saluto una delle redattrici: Lia Celi, riminese e mia conterranea. Ho inserito il suo blog, da poco scoperto, qui a fianco, nella sezione Blogroll. Ciao Lia, è bello sapere che scrivi ancora.
Dunque si parlava delle due botti di fragolino. D’ora innanzi il bottino di questi due hard disk fragoleschi andrà sotto l’egida del tag “Terziario Arretrato” in onore della creatura di Serra, Aloi e Paterlini.
Ed ora, signore e signori, passiamo al piatto forte del post, si tratta di una comunicazione tra due telefoni cellulari, la zona è il Nord Italia, le identità e i numeri di telefoni sono… ok, stavo scherzando, questi dati ovviamente non li inserirò. Buon ascolto, ops, lettura.
– Oh buongiorno Custode mio venerandissimo, come si preannuncia la giornata?
– Umpf, mancavi solo tu…
– Ti sento maldormito, o Arcigno.
– [doppio] Umpf…
– Qualcosa ha per caso profanato l’augusto sonno del nostro sommo…
– Allora, dimmi che hai in mente senza tanti giri di parole.
– Ma nulla, stavo solo porgendoti i miei omaggi. Mi apprestavo giusto ora a una passeggiatina fuori e ti chiamavo appunto per…
– Ah ah ah eccoci. No, no, bellino. Dopo il fatto di Santabarbara e la lavata di capo che mi sono sciroppato da qui non esce più nessuno senza il Visto. Ce l’hai, tu? Allora presentalo in Foresteria e non ci saranno problemi.
– Ma via, tra noi uomini di mondo non vorremo mica frapporre questi scartafacci da burocrati…
– Seee, così magari succede come l’ultima volta che ti ho fatto uscire senza.
– Nessun problema, ho la mascherina, devo solo indossarla.
– Ahr ahr, l’indossavi anche durante la tua ultima “passeggiatina”, mi pare…
– Ma sì, ma sì, non so come, mi era scivolata giù senza che me ne rendessi conto.
– Ahr ahr, e nel frattempo hai fatto svenire due massaie, causato un incidente con relativa paralisi di tutto il traffico del Quartiere, e, dulcis in fundo, ti sei fatto quasi linciare come un emerito imbecille. Ahahah uhhhh…
– Sì, d’accordo però è finita bene.
– Se lo dici tu. Comunque, guarda caso, quelli del Secondo Piano mi hanno esplicitamente incaricato di dirti che non verranno a tirarti fuori dai bassifondi una seconda volta, caro il mio signor duenasi.
– Facciamo così: tu esci nel parco e distrattamente lasci per un attimo il cancello aperto, poi altrettanto distrattamente ti giri a dare un’occhiata alle petunie…
– Niente da fare.
– Tu lo sai bene, a parte l’ultima volta, non ho mai causato problemi, ti assicuro che non mi noteranno neppure strisciare.
– Sì certo, con quella palandrana da becchino, figurarsi… Dimmi un po’, ma pare a me o ti sei un po’, come dire, incurvato?
– Che vuoi dire?
– Mah, ti vedo più massiccio e un tantino più, uhm, inclinato in avanti.
– Boh, non capisco che vuoi dire.
– Mmm, neanche io in effetti, dipenderà dal tuo faccione abbrustolito che non riuscirò mai a digerire.…
– Ti ringrazio, lo prendo come un complimento.
– Piglialo come vuoi e dove vuoi, basta che ti levi di torno.
– Ah ma allora fai sul serio.
– Ho la voce di uno che scherza?
– Va bene, allora devo proprio rivolgermi a quelli del Secondo Piano…
– Ecco bravo, vai a rimediare il Visto, poi te ne potrai andare dove ti pare.
– Mi costringi alla ritorsione.
– Ah sì? E che mi farai? Uno starnuto bifronte in piena faccia?
– Mah. Credo che… mi vedrò costretto a ordinare al Fluido di sospendere le sue fiabe notturne e di starsene tranquillo nel suo lettino, invece di venire a stupirti nottetempo sulle virtù dell’acqua.
– Che c’entra questo? Che fai, mi ricatti?
– Dio me ne scampi! Ma tu sai l’ascendente che ho sul Fluido, basterebbe un sussurro e niente più minutissima iconografia del bestiario ittico nel metapensiero, niente più miti, misteri e tesori sommersi, basta con gli idraulici onnipotenti o i compendi di Fisica Marina, definitivamente troncato anche il progettino, che credo ti stia un poco a cuore, del Depuratore Universale, eh già, perché quella faccia? Mi racconta tutto il nostro comune amico, sai?
– [incomprensibile] [cade la linea]
Contemplando il Mostro
Nel scegliere un film mia figlia (quasi 3 anni) mi chiede sempre: “c’è anche un Brutto, babbo?” Se il film non ha un Brutto, ossia un Cattivo con la c maiuscola, lei non lo prende neppure in considerazione ed è già con il ditino al film successivo. Questa cosa mi manda in estasi. Mia figlia prima di ogni altra cosa si appassiona al personaggio negativo di una storia. E in effetti, per ogni fiaba nella sua bianca memoria c’è incasellato il corrispondente Cattivo, il primo ad essere rievocato (e invocato), di cui credo l’avvinca proprio l’aura antieroica che conferisce un senso alla trama, che la giustifica e la rende vivida nel suo immaginario. La storia esiste soltanto se c’è un Cattivo. Punto. Il vecchio adagio secondo il quale un eroe esiste solo di fronte a un nemico da combattere trova in lei compiutezza matematica.
Hai ragione Elmore. Ogni (buona) storia vuole il suo Mostro.
Ho maturato la convinzione che anche nella vita sia così. Solo, un pò più complicato capire chi o cosa sia il Mostro.
Il Mostro è quello che abbiamo alle spalle. Un’oscura mancanza, un bug tra le righe del codice, uno sbalzo di tensione, un fulmineo vuoto nel paesaggio, un perduto giardino ove atroce la rosa appare.
Ci fosse un modo per poterlo esprimere sarebbe già vinta la partita. Ma un modo non c’è. Il Mostro è un crollo della comprensione, un collasso del linguaggio, un errore che sfugge.
Il non poter comunicare è il Mostro, esso è ontologia dell’inesprimibile. Il non poter dire chi o cosa sia è la sua essenza di Mostro e la sua infallibile arma che rivolge a noi, come uno specchio sospeso, come un diabolico contrappasso. Assurdamente è proprio grazie a questo baratro semantico che noi esistiamo e da esso ne siamo giustificati, vivificati.
Ora, volendo calare tutta questa insalata speculativa nella Vita Vera, ovverossia quel posto dove le persone vanno al supermercato e acquistano due etti di prosciutto crudo, che lezione ricavarne?
Ieri ero a zonzo per il lungomare di Misano Adriatico e un’anziana signora stava severamente apostrofando la sua accompagnatrice ucraina (o rumena, o polacca, o…), rea di non averle comprato non so quale determinante prodotto di bellezza. Le due sbraitavano, ognuna nella sua lingua, ognuna nella sua Monade impermeabile, ognuna senza minimamente capire cosa dicesse l’altra, ognuna viva grazie all’altra.
Ecco, ho considerato macchinalmente, ecco che ti ritrovo prediletto mio Mostro.
L’Imperatore
Un giorno di luglio me lo vedo arrivare fiero e invitto come un Dio greco, inarrestabile e chirurgico come il proietto di un cecchino. Entra nell’Hotel, ma che dico entra: “prende virilmente possesso di ogni cosa”, si guarda intorno e subito mi fa un cenno perentorio, come a dire: orsù villico, desisti dal tuo vile ufficio (stavo lavando i bicchieri), deh appropinquati!
Riesco a riconoscerlo una volta dissipata l’aura abbacinante che splende intorno a lui. E’ Pierino Brunelli, Supremo Imperatore dell’Impero Economico Universale, ed è qui, nel mio Hotel, adesso, in persona, per conferire con me, esclusivamente con me.
Mi chiede degli affari, della stagione, dei flussi turistici, poi subito parte in quarta con la sua splendida Utopia. Il SUMFES (Stati Uniti Mondo Federale Economico Spirituale), la Magna Romagna, il grave peso della reggenza, le incombenze di un Regno sterminato, la scarsità di manodopera qualificata, la necessità di creare un’Amministrazione snella ed efficiente, il bisogno di una moneta forte e di un calendario che ruoti intorno ad un nuovo disegno ecologico che non perda mai di vista Natura e Uomo (una declericalizzazione verde, il Vaticano starà già attrezzandosi con una Bolla di Eresia acclarata e relativo Anatema).
Io lo ascolto rapito e soprassiedo ad ogni umano affanno, ogni ragionevole tentennamento si dissolve dinanzi a quest’uomo e al suo Progetto. Brunelli è un Dio Pan reincarnato, un filosofo delle grotte che foraggia la sua speculazione con un cocktail di valori agresti, spiritualità bucolica, druidismo ancestrale, elementi della tradizione contadina, tutto quanto ormai stinto e perduto nel marasma della Silicon Valley e del rapace consumismo neurologico. D’accordo, in maniera tutt’altro che latente, potrà far riemergere scomodi profili scolpiti nel marmo nero e lucido del Ventennio, tuttavia dobbiamo cercare di non inquinare il nostro disincanto di fronte a un’Armonia disegnata sulle ali di una Natura finalmente Madre e Nido, porto sicuro ove invocare conforto, protezione, vita vera. Nella visione brunellistica c’è anche un forte richiamo alla Cabala e alla numerologia mistica che dai Templari fino alle odierne Logge Massoniche ha retto le sorti di un mondo sotterraneo, invisibile, cospiratore:
“Il Sumfes è un’amministrazione a cinque livelli. Il mondo va suddiviso in 1.258.400 ministati, corrispondenti ai quartieri. Siccome 11 è il mio numero preferito, 11 ministati formano il medistato, il corrispettivo del Comune, quindi avremo 114.400 medistati; 26 medistati formano il maxistato, quindi avremo 4.400 maxistati; due maxistati formano il superstato, quindi avremo 2.200 superstati. Tolga i due zeri: 22. Cioè 11 più 11.”
Se ne va senza voltarsi, lasciandomi questa impressionante sequela di numeri a rincorrersi nella Hall, 2 Lunari dell’Impero e alcune massime imperiture che bruciano le ultime esitazioni. Lo guardo allontanarsi, e per un attimo l’ombra di Tommaso Moro si confonde con la sua. Ma è già sparito all’orizzonte.
Un Uomo, il suo Sogno.
Il MetaBlog
Il MetaBlog è un Blog che parla di se stesso. Si interroga sulla sua potenza. Pensavo questo oggi, e pensavo anche a questo gigantesco fenomeno dei blog, sì insomma, come tutto questo fiorire di taccuini binari sia in realtà una risposta univoca: un tentativo di *sistemare* la molteplicità del Reale attraverso un linguaggio collettivo. Un linguaggio che trascende il Reale, che trascende lo stesso Pensiero che l’ha generato, che aspiri alla Totalità dei Fenomeni. Non una Biblioteca, non un’Enciclopedia, non un’enorme Banca Dati, ma la Realtà stessa. Allora salto subito a Husserl e alla sua Fenomenologia e mi dico: alla fine arrivo sempre morbosamente lì… Ma no, c’è dell’altro, qualcosa di nuovo stavolta. Dapprima mi sono illuso di covare qualcosa di realmente originale, e mi sono tenuto stretto quel pensiero, fin dopo pranzo. Poi mi sono reso conto che stavo rielaborando qualcosa di già masticato, e no, non erano i cannelloni di Nonna Olga. Non proprio, si trattava di quando ancora mi sentivo un pioniere dell’autoreferenzialità dei linguaggi e leggevo Wittgenstein e Valéry con l’entusiasmo di un nerd.
Paul Valéry, appunto. Scalo a fatica la biblioteca di casa e recupero i quattro tomi Adelphi dei Quaderni, maravigliosa fucina di ingegno e unico luogo adibito a celare la mia inferiorità intellettuale.
Ed ecco che a pagina 19 del vol. 2 pesco la matta:
“L’uomo spera di superare il proprio pensiero mediante il proprio linguaggio. Vuole e crede nel dire più di quanto non convenga. Quando dice il Mondo egli non possiede, dopo tutto, che un bizzarro brandello di visione, e l’arrotonda sulla sua bocca. Prende di mira il tutto, come il minuscolo occhio la montagna.”
Bellissimo e ingovernabile, una disfatta lucente. Una sintesi mirabile di ciò che invano ci affanniamo a costruire tramite il Linguaggio, dell’abisso oscuro in cui brancoliamo, senza la minima speranza di guadagnare la superficie respirabile, neppure intrecciando le dita di miliardi di blog che rimbalzano come neuroni di un unico fugace pensiero, già irrimediabilmente perso.
[brano tratto da Paul Valéry, Quaderni volume secondo, ed. Adelphi]
I nidi di Rondine della signora Nucci sono un varco dimensionale. La scoperta è stata fatta di recente ed è attualmente tenuta sotto un riserbo assoluto e impenetrabile dagli organi preposti alla sicurezza nazionale. E’ capitato tutto all’improvviso e ha colto tutti impreparati, anche se qualcuno aveva da sempre sospettato che ci fosse qualcosa di più che banale prosciutto e funghi prataioli in quella pasta al forno, qualcosa di sovrannaturale e di arcano.
Era un giovedì di luglio e il bimbo Gigi aveva appena terminato il suo secondo bis in sala da pranzo. Per lui si trattava di ordinaria amministrazione e, anzi, si apprestava a concedere un tris. Diego, il cameriere, portò la terza porzione di Nidi di Rondine e in tralice schioccò un cenno di ammirazione a Gigi, nessuno riusciva a capire come un bimbo così esile riuscisse a fagocitare tanto cibo. Quando Gigi affondò la forchetta nell’involucro di pasta croccante il suo campo visivo al margine del piatto mutò radicalmente. Gigi alzò lentamente lo sguardo e al posto della zia, seduta di fronte a lui, colse un paesaggio lunare, spaziando in un immensità brulla e deserta. D’istinto sbatte le palpebre e ricontrollò: niente da fare… La sala da pranzo, il piatto, la candida tovaglia, tutto era scomparso salvo il piatto dei Nidi di Rondine e la forchetta che teneva in mano in un gesto congelato, come un automa in standby. Gigi si scosse, emise un profondo sospiro e mosse qualche passo in quella desolazione: dovunque rocce sbiadite e terra grigiastra. Un orizzonte che si perdeva in un punto di fuga inafferrabile, uno squallido surrogato d’Infinito che dava la nausea. Con il piatto dei Nidi ben saldo nella mano destra proseguì la sua esplorazione e camminò per un tempo indefinibile. Camminò per ritrovare gli stessi sassi, la stessa polvere, la stessa identica terra che aveva calpestato poco prima (o tanto prima?).
Infine fu vinto dalla stanchezza e dal tenue profumo dei Nidi di Rondine che l’aveva accompagnato in quel viaggio circolare. Si sistemò su una grande roccia levigata e cominciò a mangiare con gesti lentissimi, curandosi di trattenere il sapore il più a lungo possibile.
Ogni boccone fu un’Era Geologica, un Universo che invecchiava, un lungo interminabile Nido di Rondine che si avvolgeva su se stesso come un nastro di Moebius.